TORINO – Nicola F. Pomponio – La bella mostra “Turner. Paesaggi della Mitologia”, allestita a Venaria Reale (Torino) fino al 28 gennaio 2024, si raccomanda per vari motivi. William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) è conosciuto soprattutto come il grande pittore paesaggistico in cui lo studio della luce preconizza l’impressionismo con esiti che puntano quasi ad effetti già surrealisti. Tutto ciò è assolutamente corretto, ma la mostra di cui parliamo aggiunge notevoli e poco trattati elementi di conoscenza di questo pittore inglese della prima metà dell’Ottocento. L’esposizione affronta infatti due aspetti della produzione artistica declinati in modo tale da ricollegarli al complesso dell’opera: da un lato il rapporto con la mitologia greco-romana e dall’altro i viaggi in Italia. Questi due tratti, ovviamente, sono strettamente connessi.
Turner ne emerge come un profondo conoscitore della cultura classica e un artista che, dopo il “grand tour” italiano, rielabora in modo originale e personalissimo le profonde impressioni provate al contatto con la natura e la tradizione pittorica della penisola. L’Eneide, le Metamorfosi e in genere i miti antichi sono interpretati con una sensibilità in cui una visione morale, come nell’Apollo inondato dalla luce della Verità contro il terrificante Pitone simbolo del Male in “Apollo uccide il Pitone”, si coniuga con paesaggi che predominano sull’azione e diventano spunto per riproporre tematiche degli amati Tiziano, Poussin e Lorrain.
Si deve quindi all’ottima cura della storica dell’arte Anne Lyles questa impostazione si potrebbe dire “verticale” nella presentazione della produzione turneriana: due singoli soggetti (mito e paesaggio italiano) sono proposti e sviluppati nell’esposizione. I circa quaranta quadri e i molti schizzi, di grande interesse quelli riproducenti l’Apollo del Belvedere, provenienti dalla Tate Gallery londinese sottolineando questi momenti della ricchissima e stratificata arte di Turner, non possono non richiamare, ovviamente, il complesso di quest’opera. Si evidenziano così i temi e gli interessi dell’artista quali lo studio della luce e una concezione del paesaggio profondamente influenzata dalla riscoperta, ad opera del filosofo inglese Burke e in Germania di Baumgarten prima e di Kant dopo, del concetto di sublime.
L’artista raggiunge così esiti di notevole interesse anche in queste opere dove l’argomento è di origine classica ma le rovine romane appaiono come citazioni dotte in un contesto non più classico, mentre lo stesso paesaggio, ispirato a quello italiano, viene filtrato da una sensibilità e da una luminosità che ne altera le caratteristiche. La luce infatti è indagata, Turner era un profondo conoscitore della goethiana e antinewtoniana “Teoria dei colori”, da molteplici punti di vista: i riflessi nelle nuvole (qui si evidenzia un bel collegamento con la mostra dello scorso anno su Constable sempre a Venaria), sui paesaggi, sul mare, nelle nebbie; il rapporto tra gli elementi, sostanziato dalla luce, passa in primo piano, quasi dissolvendo le azioni, le figure, le forme e, infine, gli elementi stessi.
Molto i cieli di Turner devono ai cieli di Poussin e proprio anche per questo motivo tale indagine sulla luce si collega all’obiettivo di suscitare “pathos” nello spettatore per condurne l’animo verso l’alto, verso le vette della comprensione del Tutto; non a caso il testo Sul sublime scritto nei primi secoli della nostra era ma edito solo a metà Cinquecento e commentato dal Burke, in greco suona come Perì hypsos ovvero sulla vetta, sull’apice: l’Apollo ricordato poco sopra diventa non solo simbolo del Bene ma anche simbolo metafisico. Ma Apollo, così tanto presente in questi quadri, non è solo il dio dell’invasamento poetico, è anche il dio della ragione rischiarante, portatrice di luce: il sublime non elimina la ragione, non è irrazionalistico ma coinvolge ragione e sentimento verso una conoscenza superiore.
Vi sono ancora due aspetti di questa interessantissima mostra che val la pena sottolineare. Oltre a proporre e indagare temi particolari, sono state esposte alcune opere, si vedano quelle in cui Ulisse sbeffeggia Polifemo, in modo da mostrare come uno stesso argomento si sviluppi dagli schizzi fino al suo completamento: sono percorsi istruttivi e di grande utilità che rendono conto del modo di creare dell’artista e della sua evoluzione. Da questo punto di vista sono interessanti proprio gli schizzi che Turner realizzò a Torino. E’ un’idea di grande impatto quella di porre a confronto i disegni dell’artista con le odierne fotografie dei posti della città da lui immortalati; un motivo in più per visitare questa mostra ricca di spunti, interesse, rimandi culturali.
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