L’AQUILA – “In queste settimane in tanti hanno confidato su un segnale da parte del Governo che andasse nella direzione dell’introduzione del salario minimo. Di certo lo ha sperato quella lavoratrice della Vigilanza che qualche settimana fa, in lacrime, mi aveva parlato della sua paga oraria intorno ai 5 euro per un lavoro che contempla anche delle responsabilità piuttosto delicate”.
Lo afferma Rita Innocenzi, da anni sindacalista Cgil e oggi componente del coordinamento politico del Partito Democratico, a seguito del pronunciamento del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) che con un documento ha bocciato la proposta sul salario minimo legale a 9 euro l’ora, proposta che vede la battaglia delle opposizioni, con il Pd in testa, contro il Governo di centrodestra di Giorgia Meloni, avendo anche presentato una apposita legge, rafforzata da una raccolta firme su tutto il territorio nazionale che ha già superato quota 600mila sottoscrizioni.
Secondo il presidente del Cnel, Renato Brunetta, bisogna puntare sul rafforzamento della contrattazione collettiva, che “è l’unica garanzia per un mercato del lavoro efficiente, equo”. Una risposta che Rita Innocenzi considera “parziale e per questo assolutamente non convincente”.
“Quando si dice che non serve il salario minimo perché invece bisogna rafforzare la contrattazione collettiva, la domanda che pongo è: quale contrattazione? Quella dei contratti pirata? – si chiede Innocenzi. Quando il Governo ha incaricato il Cnel, un organo previsto dalla Costituzione proprio per dare supporto a quest’ultimo e al Parlamento in tema di economia e lavoro mi sono chiesta: cosa scoprirà ora il Governo? E ho poi ironizzato sul fatto che ‘dal cilindro’ sarebbe venuto fuori quello strano fenomeno di questi anni che è la crescita esponenziale del numero dei Contratti Nazionali. Al Cnel vengono infatti depositati i CCNL ossia i Contratti collettivi nazionali di lavoro che negli ultimi anni sono aumentati in maniera esorbitante, persino nel periodo della pandemia. Ormai ci sono quasi 1.000 contratti nazionali. E a cosa è servito fare nuovi e ulteriori contratti ad opera di sindacati e associazioni datoriali non rappresentativi? Semplicemente a peggiorare le condizioni normative e salariali per lavoratrici e lavoratori e a fare concorrenza sleale alle imprese serie. E tutto questo è stato ed è ancora possibile perché in questo Paese non esiste una legge sulla rappresentanza, quindi in due o in quattro persone, anche se si è rappresentativi solo di se stessi, ci si può mettere in una stanza scopiazzare, rivedere e poi firmare un contratto nazionale e depositarlo”.
Rita Innocenzi, ritiene dunque fondamentale, intanto fare chiarezza e arrivare a una legge sulla rappresentanza perché per sedersi a decidere del destino dei lavoratori sia d’obbligo essere davvero rappresentativi, con un mandato forte e tangibile dei lavoratori.
“Io non ho mai pensato che il salario minimo per legge fosse risolutivo della cosiddetta questione salariale – argomenta ancora Innocenzi – ma certamente ritengo che sia un punto fondamentale. In altri ambiti si parla di Livelli Essenziali di Assistenza, anche nel Lavoro dovrebbero esserci dei diritti essenziali salariali e normativi al di sotto dei quali non si può stare. In questo Paese anche se lavori regolare, a tempo pieno e indeterminato, sei povero rispetto alla garanzia di una esistenza dignitosa, per te e per la tua famiglia, figuriamoci se sei precario, se sei una finta partita Iva, se lavori forzatamente in part time o magari se sei in un mix tra qualche ora regolare e il resto in grigio tendente al nero. E allora quando si risponde di no al salario minimo motivando che in Italia c’è un’ampia copertura della contrattazione collettiva si decide di non arrivare al cuore del problema che è quello di ampie fasce di lavoratrici e lavoratori che hanno salari da fame nonostante la contrattazione collettiva fatta per bene abbia una copertura ampia, e comunque ampia per chi è regolare. Si fa finta di non sapere che i contratti nazionali collettivi non sono tutti perfetti e, non solo, si fa finta di non sapere che anche la contrattazione nazionale regolare ha bisogno di una spinta. Certamente c’è necessità anche di nuove modalità che consentano a chi ne è privo, di avere oltre che un contratto collettivo nazionale di lavoro rispondente alla realtà lavorativa, anche di una contrattazione aziendale, di secondo livello, decentrata, che oggi riguarda ancora troppo pochi e che rischia di essere motivo di disuguaglianze”.
Conclude la sindacalista: “E sempre a proposito di chi parla genericamente di contratti, in questo Paese non dovrebbe essere consentito che ad un lavoratore che fa un massetto in edilizia gli si applichi un contratto nazionale da florovivaista, regolare ma assolutamente fuori luogo. Allora, innanzitutto, si inizi a fare in modo che a partire dalle pubbliche amministrazioni si evitino appalti con remunerazioni che destinano lavoratrici e lavoratori alla povertà. Si mettano al bando i contratti pirata, si faccia in modo che l’economia circolare sia il motore della produttività e della contrattazione aziendale o territoriale anche per le piccole e medie imprese, si metta al centro la persona”.
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