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L’Aquila: nuovi profumi d’arte in via Tre Marie, dal “Caffè” ai “cartoni dipinti” da Tonino Di Roberto

Pubblicato da Redazione
giovedì, 15 Settembre 2022 - 18:36
in Arte

L’AQUILA – Ogni tanto è bene fare una visita al Centro Storico della Città. Bisogna però fare i conti con l’invasione dei tavolinetti allo scoperto dei bar e esercizi commerciali che cercano nel turismo di sopperire ai difetti che la politica locale ha dispensato anche al settore commercio negli ultimi decenni; specie dopo il sisma nel 2009.

Eccomi, allora, al ritorno in “Via Tre Marie”. Era una strada amica. Non solo perché nel palazzo. a fianco del Cinema Imperiale, c’era la redazione del quotidiano “Il Tempo” (proprietà di un Senatore liberale, Renato Angelillo). Qui la “cronaca del giorno in città e periferia” veniva trasmessa, con nastri perforati, alla tipografia in Piazza del Popolo a Roma.

A una decina di passi della “Via”, c’era l’omonimo “Ristorante” Tre Marie” di Don Peppe Scipioni con i figli Paolo e Luciano. La loro buona cucina, con i piatti tipici locali, richiamava reali, stilisti, registi, grandi personaggi dello spettacolo. “Tre fanciulle” erano state dipinte da Don Peppe, in stretto costume contadino. ‘Accoglievano’ poi, anche con più stilizzati loghi grafici i visitatori, fin dalla porta d’ingresso al “Ristorante” oltre la quale si veniva accolti, con il dovuto garbo, da Don Peppe (almeno fino alla morte), poi da Paolo, il maggiore dei figli. Le “Tre Marie” erano mitizzate anche nelle tele dipinte da Giuseppe Scarlattei e da Erminio Visentini.

Nelle sale del Ristorante, dei “gioiello d’arte figurativa” si sommavano ad antichi reperti storici, alle ceramiche, ai disegni geometrici incisi sui “legni” bruniti con fumi, in Arischia. Dai Gizzi: sedie, tavolini, lampadari, delle grandi cornici nei dipinti sulle tre pareti nella prima stanza del Ristorante. Nel terzo locale c’era il caminetto, con gli alari in ferro battuto, la conca, i piatti di rame, ecc… e ancora dipinti. In uno erano riconoscibili i tre Scipioni.

Alla “Pinacoteca”, realizzata dal padre (in piena tradizione artistico-artigianale aquilana), Paolo aggiunse l’interesse per l’Arte Contemporanea; veniva anche sollecitato dalla stretta amicizia con Gianfranco Colacito e Emidio Di Carlo due giornalisti: il primo nipote della famosa scrittrice Laudomia Bonanni; il secondo, oltre che critico ed artista, grande amico di Remo Brindisi con il quale poteva far arrivare all’Aquila opere di artisti famosi sulla scena internazionale. Le mostre venivano allestite nella prima sala d’ingresso al “Ristorante” chiedendo, di volta in volta, scusa alle tele di Scarlattei e Visentini, coperte dalle rimovibili tapparelle di ganna. Nacque il “cc3m”, ovvero il “Centro Culturale Tre Marie”, la cui fama non fu certo inferiore a quella acquisita dal “Ristorante” nel passato se un certo “Teatro Stabile di L’Aquila”, chiese di poter esporvi una mostra “Omaggio a Pirandello” in occasione della messa in scena (nel 1964) di ”L’uomo, la Bestia e la Virtù” di Luigi Pirandello, con regia di Paolo Giuranna e il ‘ripescato’ interprete Achille Millo nei panni del Signor Paolino.

Nel 2007 il “Ristorante” chiudeva e la Proprietà passava nelle mani dell’imprenditore Alido Venturi; quindi della Gioel Holding, che diventava proprietaria dell’intero palazzo. La Holding dovette prima risolvere i danni causati dal sisma nel 2009. Dopo la ricostruzione, dovette difendere la proprietà del marchio “Tre Marie” chiedendo il giudizio al Tribunale europeo per il riconoscimento della proprietà individuale. Dopo la ricostruzione, il via alle riaperture commerciali. Il 21 luglio 2022, è stato inaugurato, il “Caffè Tre Marie”, al nr. 13. L’interrogativo: nel futuro del “Ristorante Tre Marie” ci sarà l’antica galleria con i tanti grandi artisti e le loro opere d’arte? Si potranno rivedere i preziosi arredi dell’artigianato aquilano? Tutto resta da scoprire.

Tornando alla passeggiata, data una sbirciata al “Bar Tre Marie”, più avanti, arriva la sorpresa al numero civico “29”: “Profumeria Artistica”. Osservando la vetrina, viene spontaneo pensare: è ripresa l’attività espositiva dello storico “cc3m”? Appaiono numerosi dipinti; tutti eseguiti sui fondi delle scatole di cartone dal disuso a nuova utilizzazione. L’autore, uno straordinario pittore nel “marchio” odierno aquilano: Tonino Di Roberto. Ogni giorno, dalle 8 alle 17, con il fratello Paolo, lo trovi in un furgone-bancarella posteggiato, in una rientranza, sulla destra, nella S.S. 80, località “Cansatessa”. Ai vecchi e nuovi clienti, Tonino e il fratello Paolo assicurano frutta fresca di stagione del territorio o attinta nel mercato all’ingrosso marsicano.

Di certo, Tonino guarda sempre, con apprensione, ogni scatola di cartone quale sua prossima “tela”, dopo gli acquisti dei clienti. Paolo è più preso dal soddisfare i compratori; Tuttavia nella sua memoria conserva il bel tempo trascorso all’Istituto d’Arte aquilano insieme al fratello Tonino.

Nei dipinti su cartone la creatività non conosce limiti. Tonino sa che non ha davanti un gran muro. Non deve affrescare murales. Non ha bisogno delle bombolette spray. Non deve impastare i colori usciti dai tubetti e tantomeno mescolare vari elementi come facevano gli aborigeni. Pennarelli alla mano mette in fila i colori pronti per una grafica dai toni pulsanti. I suoi dipinti rivelano tatuaggi su cartone. Si riappropriano adeguandone i linguaggio delle decorazioni Maori della Nuova Zelanda, o dei Samoani dell’Oceania insulare dove si esaltavano la linee, gli aspetti formali, i motivi ornamentali; sempre a mano libera.

Tonino proietta sui cartoni, con impulsività grafica, memoria e presente; soffermandosi sul volto umano. Vede latenti le ‘linee’ da madre natura. L’artista le evidenzia; le rivela con fare gestuale. Sui volti, in una crescente “Pinacoteca”, affiora un assillante pessimismo critico sulla società contemporanea. Il tatuaggio caratterizza il singolo ‘ritratto’.

Giuseppe Pelizza da Volpedo dipingeva, nel 1901, “Quarto stato” con ordinaria tecnica pittorica figurativa mostrando la rabbia del ceto sociale emarginato nella grande assemblea costituente nazionale.

Accadrà più tardi, nel 1967, che un critico d’arte, Germano Celant, traducesse in un “Movimento” poetico le esperienze degli “artisti poveri” che esponevano alla Galleria “La Bertesca”, in Genova. Nasceva l’”Arte Povera”. Materiali umili, nuovi e in disuso, venivano assemblati negli aspetti reali e non riflessi come nei dipinti dell’arte tradizionale. “La Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto associava un cumulo di abiti usati ad un calco sulla ‘bellezza’ nel mondo classico; in tal modo la contrapposizione tra antico e contemporaneo esplicitava la creatività con materiale ‘povero’. L“Arte povera”: il Movimento si poneva sulla scena con un forte atteggiamento critico sulla società contemporanea.

I “volti” dipinti da Tonino Di Roberto possono essere sulla scia di quanto seminato dal Pelizza e da Pistoletto? In effetti, nella “Galleria del ritratto” si è al cospetto di materiale “povero” (il cartone assemblato). La sovrastante figurazione è gestuale, pittorica e reclama lo status libertatis dell’artista al di fuori dei legami con il mondo capitalistico; quindi la motivazione poetico dei dipinti è ben lontana dalla “Pop Art” o dalle opere seriali. Pertanto si è nel grande cerchio dell’”Arte Povera”. La funzione critica sottaciuta nelle opere in Pino Pasquali, Jannis Kounellis, Mario Merz, ecc…, nelle opere Di Roberto si manifesta con chiarezza, rispecchia il vissuto quotidiano dell’uomo e dell’artista. Il nervosismo descrittivo nella creatività figurativa riflette, in ogni opera, il malessere assillante che serpeggia nella disgregata e sempre più impoverita società contemporanea.

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