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Esequie piccolo Tommaso D’Agostino: l’Omelia del Cardinale Petrocchi

Pubblicato da Redazione
sabato, 21 Maggio 2022 - 17:00
in Attualità, Cronaca, Eventi, Evidenza, Varie

L’AQUILA – Oggi pomeriggio si sono tenute nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio le onoranze funebri al piccolo Tommaso D’Agostino deceduto nella tragedia dell’asilo 1° Maggio di Pile a L’Aquila.

Il Cardinale Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo Metropolita della Diocesi dell’Aquila ho officiato il rito pronunciando l’Omelia che di seguito riportiamo.

La morte di un bambino ha il potere di provocare una immediata e generale “mobilitazione di cuori”, che si uniscono e diventano un “solo cuore”, che palpita con la stessa “frequenza d’anima”. Basta tenere la mano al polso della Città per accorgersi che, su questa triste notizia, si è registrata la stessa pulsazione di idee e di emozioni.

È il miracolo suscitato dal dolore innocente. S’accende la “com-mozione”, che – come dice l’etimologia della parola – esprime il “muoversi insieme”, con un passo interiore cadenzato da perfetta sincronia.

Ho scritto che «ogni bambino è “patrimonio sacro” dell’intera umanità: appartiene a tutte le persone degne di questo nome». Per questo l’Aquila piange, non con lacrime cupe e disperate, ma con lacrime “condensate” da un dolore immenso: attraversato, però, dalla fede nel Vangelo della Vita.

La nostra Gente, che ben conosce il dolore, è stretta intorno a mamma Alessia e a papà Patrizio: sa “com-patire” con loro, facendo vibrare le corde di un affetto convinto, partecipe e tenace.

La Città oggi è tutta qui: e proprio tu, piccolo Tommaso, sei anche il Centro dei sentimenti – “forti e gentili” – dell’intera Comunità abruzzese: ecclesiale e civile.

Sono convinto che il dolore “estremo” – il più lacerante che possa colpire un essere umano – è la sofferenza dei genitori che vedono morire un figlio. È un dolore che non può essere “detto”, perché le parole non sono in grado di contenerlo ed esprimerlo. Forse le due espressioni che meglio riescono a segnalarlo sono “il grido” o il “silenzio”.

Tuttavia si nota un paradosso: questo dolore che non può essere “raccontato”, non ha bisogno di essere “spiegato”: perché ogni mamma – in qualunque parte del mondo – lo capisce proprio perché è mamma; così come ogni papà lo capta pienamente se si mette sulla lunghezza d’onda dei sentimenti propri di un padre.

Di fronte alla disgrazia, che ha devastato la loro esistenza, penso che nell’anima della mamma e del papà del piccolo Tommaso abbia fatto irruzione una lancinante domanda: “perché è capitato a lui”? Avremmo preferito un miliardo di volte che fosse accaduto a noi”. Ogni genitore, infatti, sarebbe immediatamente pronto a dare la vita in cambio di quella del proprio figlio. E subito scattano pure gli altri interrogativi: “perché così?”, “perché adesso?”, “perché proprio lì”? Non può mancare all’appello la “questione radicale”: perché Dio, che è Amore, ha permesso questa sciagura? Perché non l’ha impedita?

La tragedia, di cui siamo testimoni sgomenti, ci chiede il coraggio di dare voce a questi “perché”, pur avendo l’onestà di ammettere che non abbiamo risposte “nostre”. Di fronte al problema del dolore, che si abbatte sui bambini, la ragione non trova soluzioni accettabili: ce lo ha ricordato recentemente anche Papa Francesco.

La spinta irruente di questi interrogativi ustionanti, che denunciano la nostra impotenza e fragilità, non va anestetizzata o imbavagliata. Dobbiamo avere l’umiltà di bussare alla porta del Vangelo, per trovare la Verità che scioglie i nodi e la forza che ci consente di rendere, questa sconfitta, una opportunità di crescita: spirituale ed umana.

La liturgia, che stiamo celebrando, proclama la Pasqua di Gesù: che ha assunto il dolore dell’umanità ed è entrato nel regno della morte, ma l’ha vinta ed ha spalancato per noi le porte della Risurrezione. In Lui la morte è sbaragliata e, nella Pasqua, subisce uno “scacco matto”: viene per uccidere e invece suscita vita; strappa dal tempo una relazione d’amore e finisce per eternizzarla. La morte, infatti, non ha il potere di spezzare l’amore: anzi lo potenzia. Il sigillo identitario  dell’amore, infatti, è il “per sempre”.

Fra poco sentiremo proclamare nel “prefazio”, una espressione consolante: “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. È legittimo allora chiedersi: dove sta “adesso” il piccolo Tommaso?

La risposta ci è offerta nel brano dell’Apocalisse, che ci è stato annunciato: dobbiamo perciò lasciare che le parole dell’Apostolo Giovanni continuino a “fare eco” in noi e tra noi. «Vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio,…. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”» (Ap 21, 2-4)

Il Piccolo Tommaso è entrato nella Città Santa, patria della beatitudine eterna, e ci guarda: da “lassù”, i suoi occhi splendenti di gloria fissano i nostri occhi velati di lacrime.

Tra chi abita nell’eternità di Dio e noi, che siamo pellegrini nella storia, il rapporto non è interrotto. Anzi, la relazione corre più intensa di prima sul grande “viadotto” della comunione, che collega il Cielo e alla terra: vi transitano liberamente i doni dell’amore reciproco. Occorre tuttavia avere la mente e il cuore “sintonizzati” sulla “password” specifica della fede, della carità e della speranza. L’appuntamento per avviare questo “scambio” può essere fissato in ogni momento, in attesa dell’incontro eterno: perché, sappiamo, dalla Rivelazione, che verrà il giorno in cui ci ritroveremo e potremo stringerci in un abbraccio che non conosce fine.

L’anima di un bambino, come un petalo di fiore, viene portata subito verso l’Alto, come attirata da un “vortice” d’Amore. Alle porte del Paradiso il piccolo Tommaso è stato accolto da Maria, perché è Madre: e il cuore di una madre è lo spazio privilegiato in cui ogni bambino cerca e trova la sua dimora. Lo ha accompagnato da Gesù, che gli è andato incontro e lo ha subito abbracciato, con infinita tenerezza, come faceva quando avvicinava i bambini sulle strade della Palestina. Si legge, nel Vangelo di Marco, che li chiamava a sé e «prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (Mc 10, 13-16)

Sono convinto che l’ingresso in Paradiso del piccolo Tommaso non è avvenuto in tono minore, ma con stile solenne, con gli angeli che gli hanno reso onore, cantando l’inno dell’ “alleluja”. Infatti, se – come ci ha confidato Gesù – c’è gioia in cielo per un solo peccatore che si converte (cfr. Lc 15,10), immaginatevi la festa che esplode quando entra un “santo innocente”: segnato dalla croce del Signore, ma anche trasfigurato dalla gloria della Sua risurrezione.

Proprio così: sono persuaso che il piccolo Tommaso, che porta i segni del “martirio”, è annoverato tra i “grandi” nel Regno di Dio. Mi sembra una conclusione in linea con quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo: «i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?”. Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”» . (Mt 18, 1-4)

Tommaso “è” bello, come tutti i bambini. Per il candore della sua fisionomia e per la limpidezza semplice dei tratti, che incantano e suscitano nelle persone brave ed oneste un immediato senso di custodia e di benevolenza.

Mi sento autorizzato a dichiarare, a nome di tutti i presenti, che sei tu, piccolo Tommaso, il nostro “Campione” e noi siamo fieri di presentarti al trono dell’Altissimo: sicuri di fare una splendida figura!

Prenditi cura delle tue amichette e dei tuoi compagnetti che hanno riportato ferite: chiedi la grazia che superino il “trauma” psicologico che hanno subìto. Ti raccomando anche di fare una invocazione speciale per le loro famiglie, perché – affiancate dal concorso di tutti – superino questo passaggio sconvolgente della loro esistenza.

Ti assegniamo il compito di prodigarti perché cessino le guerre che insanguinano tante parti del mondo. In particolare ti chiediamo di vigilare sui piccoli che soffrono in qualunque angolo della terra: in particolare, sui bimbi ucraini.

Non c’è bisogno che ti raccomandi mamma Alessia e papà Patrizio: sono certo che appena arrivato in Paradiso avrai preso Dio per mano e Gli hai chiesto di consolare i tuoi genitori: proprio loro, che ti hanno generato e si sono spesi fino in fondo per il tuo bene, oggi hanno bisogno di te!

Infine, tu che abiti nella Casa di Dio e Gli fai compagnia da vicino (poiché appartieni alla schiera dei “Santi Innocenti”) ottienici la grazia di essere anche noi amici del Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto: Via, Verità e Vita; Colui che è l’Alfa e l’Omèga, il Principio e la Fine, l’Onnipotente! Amen (cfr. Ap 21, 5-6).

Giuseppe Card. Petrocchi, Arcivescovo Metropolita di L’Aquila

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