L’AQUILA – di Paola Retta – Basterebbe poco per lavorare serenamente, come già più volte ricordato, in un ambiente che valorizza le competenze, la creatività, la formazione e le aspirazioni dei lavoratori. Ad oggi, questo è confermato da numerosi studi di settore e spesso, all’estero, in ambito sia europeo che extraeuropeo, moltissime aziende si ispirano al principio secondo cui un lavoratore felice di svolgere il proprio lavoro è un lavoratore produttivo.
Eppure, nel secolo scorso, proprio in Italia ci furono esempi veramente notevoli, in tal senso ed oggi vorrei parlarne di uno in particolare, Adriano Olivetti, che ha avuto, innanzitutto, la fortuna di nascere da una famiglia illuminata. Il padre, infatti, l’ingegner Camillo Olivetti, dopo aver terminato gli studi, decise di perfezionare il suo inglese trascorrendo oltre un anno a Londra, dove lavorò anche come meccanico.
Grazie alla sua padronanza della lingua, ebbe la possibilità di accompagnare, come interprete, il suo professore di Elettrotecnica del Regio Museo Industriale di Torino, che sarebbe poi diventato, nel 1906, il Politecnico, in un viaggio negli Stati Uniti, dove ebbe l’occasione di visitare i laboratori di Edison e di conoscere realtà lavorative e sociali ben superiori a quella italiana.
Tornato in patria, decise di fondare, nel 1908, la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere, creando lui stesso il primo progetto.
Adriano Olivetti, primogenito della famiglia, entrò nella fabbrica nel 1925, dopo aver anche lui terminato gli studi e fatto un viaggio degli Stati Uniti, facendo, insieme al fratello Massimo, una lunga gavetta.
A livello di produzione industriale, l’intelligenza e la lungimiranza degli Olivetti, specialmente di Adriano, fecero in modo che la loro azienda fosse totalmente indipendente dalle altre, al punto tale che ogni componente che faceva parte della macchina da scrivere veniva prodotto da loro, comprese le viti. Nacque, inoltre, al suo interno, il primo nucleo di ricerca e sviluppo e il Centro Formazione Meccanici, una sorta di scuola in fabbrica, nella quale, oltre alle nozioni tecniche e pratiche, si insegnano anche cultura generale e cultura politica.
Nel 1933, Camillo nomina Adriano amministratore delegato e sarà proprio lui a portare la Olivetti ad essere leader nel settore, non solo delle macchine da scrivere, ma anche dei mobili d’ufficio e del design, creando un vero e proprio “stile Olivetti”.
Adriano, infatti, apre uno studio pubblicitario a Milano, avvalendosi di giovani architetti e designer razionalisti, e chiama un poeta-ingegnere, Leonardo Sinisgalli a dirigerli. L’idea di affidare la direzione e la gestione della parte pubblicitaria della sua azienda ad un poeta, la dice lunga su quanto Olivetti figlio desiderava che la cultura si facesse strada ovunque, anche in un settore fatto di banali slogan facili da ricordare.
Siamo in una fase di trasformazione da un’azienda artigianale ad una industriale ed il passaggio generazionale non è sempre indolore: tra i due ci saranno diverse discussioni.
Anche molti anni dopo la morte del padre, Adriano ricorderà una frase emblematica del pensiero del genitore, di cui lui farà tesoro quando, negli anni 50, risolse una crisi aziendale con l’aumento della forza di vendita invece che con la riduzione di personale, come da molti suggerito: Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia.
Da questo pensiero, si percepisce la grande attenzione, già di Camillo e poi ereditata e resa fulcro del suo successo, da Adriano, a quella che è la risorsa più importante di un’azienda: i lavoratori.
Cosa significava, quindi essere un dipendente Olivetti?
“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza”.
Essere operai alla Olivetti significava essere dei privilegiati per l’epoca rispetto a qualsiasi altro operaio. Oltre ad uno stipendio medio superiore si poteva accedere ad un innumerevole quantità di servizi e usufruire di orari lavorativi differenti.
Veniva seguita anche la regola morale espressa dall’Ing. Adriano: “Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minino”. Molti benefit, inoltre, facevano sì che lo stipendio percepito risultasse effettivamente maggiore all’interno del bilancio familiare non dovendo sostenere determinate spese.
I servizi erogati dalla Olivetti risultavano essere equipollenti per qualsiasi tipologia di dipendente, non vi era distinzione tra operaio e dirigente tant’è che i figli degli uni andavano al nido o ai campi estivi con gli altri. I servizi offerti spaziavano dalla mensa, che offriva due pasti giornalieri e dignitosi per tutti in un ambiente curatissimo e all’avanguardia, ai servizi sanitari che garantivano visite e controlli periodici. È doveroso ricordare che questa tipologia di servizi all’epoca aveva un valore ancora maggiore rispetto ad oggi, infatti il servizio sanitario nazionale non era stato ancora istituito e il pasto caldo non era così scontato per tutti. I figli dei dipendenti avevano un’educazione seguita direttamente dalla Olivetti fin dal nido e, sebbene fosse una tradizione comunque diffusa all’epoca, avevano la possibilità di frequentare le colonie sia estive sia invernali. Le donne avevano un periodo di maternità di 9 mesi dunque superiore a quello attuale, peraltro ottenuto a seguito di lotte sindacali, e con una retribuzione al 100% che attualmente non è prevista da legge. I dipendenti potevano formarsi e specializzarsi e dunque studiare grazie alla Olivetti e avevano la possibilità di frequentare, anche in orario lavorativo, biblioteche piuttosto fornite per crearsi una solida cultura.
Erano state allestite aree di svago e relax, centri sportivi cinema e teatro dove spesso venivano invitati ospiti illustri quali De Sica, Gassman, Pasolini.
Per poter usufruire di tali opportunità, inoltre, si poteva optare per un orario di lavoro più flessibile grazie al quale il dipendente era reso autonomo e responsabile e aveva quindi la possibilità di avvalersi di tutti gli spazi negli orari di lavoro.
Dal 1957 venne istituita la settimana corta e quando nel corso degli anni furono apportate alcune riduzioni agli orari lavorativi non venne mai intaccato lo stipendio. Gli ambienti di lavoro erano più che salubri, ariosi e luminosi, caratterizzati, come già detto, da design, circondati dal verde e arricchiti da curati giardini in particolar modo a Pozzuoli la fabbrica venne paragonata ad una villa e il giardino a quello di un Grand Hotel. L’ambiente era socievole e rilassato a tal punto da sorprendere i visitatori esterni e gli stessi manager appena assunti.
In un ambiente così ben strutturato e con la reale possibilità di lavorare bene, svagarsi, migliorare la propria formazione, avere una copertura sanitaria e la certezza di due pasti quotidiani, sembra piuttosto difficile, se non impossibile, che possa svilupparsi una situazione di Mobbing.
Adriano Olivetti ha dato tantissimo anche come comunicatore, urbanista e politico, lasciandoci numerosi scritti in cui vengono espressi i suoi pensieri nei vari ambiti.
La morte lo colse all’improvviso ed ancora giovane, a 59 anni, durante un viaggio di lavoro. Morte che ancora oggi per molti è sospetta, come se si fosse voluto far fuori un uomo le cui idee e le cui riforme iniziavano ad essere scomode.
Adriano Olivetti morì il 27 febbraio 1960, sul treno che da Milano lo stava portando a Losanna. Si disse per un malore mai diagnosticato, chi ipotizzò per infarto, altri giornali parlarono di emorragia cerebrale. Lo trovarono riverso nell’ultimo scompartimento della carrozza di seconda classe in fondo al treno, lui che viaggiava sempre con biglietto di prima classe. Di lì a qualche giorno, sarebbe dovuto partire per gli Stati Uniti, dove avrebbe dovuto ispezionare gli impianti nei quali aveva intenzione di assemblare il primo pc completamente sviluppato dalla Olivetti, da commercializzare in tutto il mondo.
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