L’AQUILA – Soprattutto nel “tempo di Pasqua”, Il Signore ci invita a interpretare i “segni dei tempi” (cfr. Mt 16,3), per cogliere la volontà di Dio manifestata attraverso gli avvenimenti che ci coinvolgono. Se non ci esercitiamo in questo compito fondamentale, possiamo contrarre gravi forme di “miopia esistenziale”, che non ci consentono di valutare e di agire nella verità e secondo il bene. Varrebbe, allora, anche per noi il rimprovero rivolto da Gesù alle folle che lo seguivano: «come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto» (Lc 12, 54-57).
Dobbiamo, perciò, imparare sempre meglio a “leggere”, secondo il Vangelo, i fatti e le stagioni che scandiscono la nostra esistenza, sapendo scoprire i “doni di Dio”, non solo nelle esperienze che rispondono alle nostre attese, ma anche negli angoli oscuri e dolorosi della nostra storia. Infatti, la Parola di Dio ci assicura che il Signore si prende cura di noi sempre, anche quando attraversiamo i “tunnel” della sofferenza, e tutto fa concorrere al bene di coloro che rispondono al suo amore (cfr. Rm 8, 28).
Per questo san Paolo ci consegna una frase-cardine, che considero un pilastro della vita cristiana: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13).
Dunque, nessuna situazione, per quanto avversa e intricata, costituisce un labirinto che ci intrappola inesorabilmente e nessun agguato, che le circostanze sembrano muoverci contro, è destinato ad avere automaticamente successo. Perché ci è data sempre l’energia per vincere le battaglie che siamo chiamati a combattere, e ogni volta ci viene aperta la “via d’uscita” dal groviglio dei nostri problemi. Perciò, se rimaniamo impantanati nelle sabbie mobili delle difficoltà, rischiando di sprofondarci dentro, non è giusto maledire la “cattiva sorte” che si è accanita contro di noi, ma dobbiamo chiederci piuttosto se abbiamo seguito la “segnaletica evangelica”, posta da Dio sulle nostre strade, e se ci siamo riforniti alle sorgenti di grazia, che scaturiscono nella comunità ecclesiale. Se siamo dalla parte di Dio e ci nutriamo del “pane di vita”, troveremo ogni volta le porte che, aprendosi verso la libertà, ci introducono in una pienezza inaspettata. Giustamente ha scritto Alessandro Manzoni, nel suo capolavoro “I Promessi Sposi”, «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande» (cap. VIII).
Nel medioevo, quando si voleva mantenere segreto un messaggio, si intingeva la penna nel succo di limone e si scriveva tra le righe. Ciò che era stato annotato risultava invisibile, ma se la pergamena veniva avvicinata ad una fonte di calore (es. la fiamma di una candela), allora la frase appariva e risultava leggibile.
Anche lo Spirito scrive i suoi messaggi nei fogli che narrano le nostre giornate: per comporre i commenti e le indicazioni che intende darci, intinge la Sua penna nella sapienza della Bibbia e della viva Tradizione della Chiesa. Per questo, nelle frasi, che portano la Sua firma, sono contenute le risposte alle nostre domande e vengono tracciate le linee da percorrere verso soluzioni ricche di grazia e di benedizione.
Il Signore desidera manifestarci il Suo disegno di Amore, ma vuole che non siamo destinatari passivi della Sua Bontà, ma soggetti attivi, che si impegnano ad accoglierla e a corrispondervi nella carità. Infatti, ci ha chiamati “amici” (cfr. Gv 15,15) e ci invita a diventare Suoi collaboratori (cfr. 2Cor 6,1). Ecco perché dobbiamo fare la nostra parte per lasciar “apparire” e attuare il progetto che Dio depone in ogni momento della nostra storia: Egli, infatti, non si dimentica di noi, né ci abbandona al nostro destino, ma ci parla ed agisce per consentirci di trarre vantaggio da tutto. Sì, da tutto: anche dalle avversità! L’Onnipotente, infatti, sa ricavare il bene anche dal male (cfr. CCC, 311)!
Come fare per “identificare” e mettere in atto le “strategie divine” che ci consentono di vincere le sfide del “mondo” (cfr. Gv 16,33), dentro e fuori di noi?
Dobbiamo imparare a “leggere” gli avvenimenti – lieti o tristi – attraverso le “lenti teologali” della fede, della carità e della speranza, sigillate dalla Pasqua del Signore. Ma queste virtù, essendo animate dallo Spirito Santo, hanno sempre una valenza comunionale: di conseguenza, per cogliere nitidamente la volontà di Dio occorre vedere con gli “occhi” della Chiesa, che ci viene incontro attraverso persone esperte nelle “cose di Dio” (cfr. 1Cor 2,12-15). Questa ricerca fraterna e “dialogata” si chiama “discernimento comunitario”.
Se, dunque, alla luce della Pasqua decifriamo i “pronunciamenti” di Dio, scritti nei volumi della nostra vita, scopriremo, con meraviglia, che il Signore opera a nostro favore in ogni circostanza, anche la più devastante, e ci fa avanzare sulle vie dell’unità: con Lui, con noi stessi e con gli altri.
Poniamoci alla Scuola di Maria, che è maestra nell’arte di riconoscere “la calligrafia” di Dio nelle pagine della storia: Ella, infatti, serbava, con animo vigilante, tutte le cose che Le accadevano, meditandole nel cuore (cfr. Lc 2,19).
Se rimaniamo al buio e ci manca la forza per salire verso le vette della perfezione (cristiana e umana) è perché guardiamo senza vedere, sentiamo senza ascoltare e chiediamo senza accogliere. Chiudendoci al Signore, che vuole aiutarci, ci priviamo dei suoi doni e rimaniamo incollati alle nostre povertà. Poi denunciamo, con amarezza, le aridità interiori che noi stessi ci siamo procurati.
Mi viene in mente una scena che vidi in un momento di festa all’aperto, con la gente della mia comunità, quando ero parroco in montagna. Su una tavola, riccamente imbandita, comparivano dolci ed altri cibi prelibati. Nei paraggi c’era un bambino, che, giocando, si era riempito le mani di sassolini. Un adulto, vedendo che il piccolo fissava le paste, gliene offrì alcune su un vassoio. Il bimbo, però, rimase immobile e si mise a piangere; infatti, per prendere le paste avrebbe dovuto buttare i sassolini: cosa che non era intenzionato a fare. Questa scena, commovente e simpatica allo stesso tempo, mi ha fatto pensare che pure noi adulti facciamo spesso così: ci avviciniamo alla mensa del Vangelo e della grazia, preparata dal Signore per noi, ma non ci mettiamo in condizione di prendere il “cibo spirituale”, di cui abbiamo bisogno, perché abbiamo la mente intasata da convinzioni sbagliate e le mani ingombre di egoismi dannosi. Per questo restiamo in ostaggio delle nostre tristezze e fragilità psicologiche.
In questo tempo di Pasqua, la Chiesa – che si fa ambasciatrice del Signore (cfr. 2Cor 5,20-21) – rivolge a ogni uomo il suo appassionato: «Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è “via, verità e vita” (Gv 14,6)».
Gesù non ci ha salvato restando “all’esterno” della nostra storia, ma ha voluto prenderla interamente su di sé, caricandosi – Lui, innocente – di tutto il male del mondo. Si è addossato le nostre sofferenze, diventando “l’uomo dei dolori” (cfr. Is 53,3-5).
In Lui ogni croce, di qualunque tipo e grandezza, può essere trasformata in “spazio-di-risurrezione”. Ecco perché la sofferenza – vissuta nel Signore – può diventare una finestra che si spalanca sull’amore e ne mostra i volti: abissali e misteriosi. Mi ha scritto una ragazza aquilana: «Il dolore è un grande maestro, se il discepolo si lascia illuminare dalla grazia che lo accompagna».
Perciò, da fratello, vorrei dire a ogni credente: quando ti trovi nelle turbolenze della vita, chiediti cosa la Provvidenza ha da dirti, non solo “su” quel problema, ma anche “attraverso” quel problema. Non guardare solo a ciò che quella difficoltà ti toglie o ti impedisce, domandati anche cosa ti porta e dove ti conduce. Se niente avviene per caso (cfr. Lc 12, 6-32), anche la tua storia è custodita nel cuore di Dio e il tuo nome è scritto nel palmo della Sua mano (cfr. Is 49, 15-16). Proprio così, dentro un guscio amaro il Signore nasconde sempre una sorpresa dolce; così come il mondo dispensa spesso, dentro un guscio dolce, una sorpresa amara.
Si intuisce allora perché – per mantenere la pace e un sano ottimismo – bisogna aprirsi alla “lezione” e alla esperienza della Pasqua.
Nella Evangelii Gaudium, Papa Francesco ci esorta a fidarci di Dio e, con fervore coinvolgente, dichiara: «la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano» (n. 278). Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una speranza che mai ci delude: perciò«non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada» (id., n. 3).
Queste considerazioni ci autorizzano ad affermare, con Papa Francesco, che se uno «non ha più grinta, gli manca la risurrezione. Così, il Vangelo, che è il messaggio più bello che c’è in questo mondo, rimane sepolto sotto molte scuse» (id., n. 277).
È per questa certezza che Santa Teresa d’Avila ha scritto uno dei passi più celebri della spiritualità cristiana: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!».
Se facciamo Pasqua con Gesù, in Lui diventiamo Pasqua per i fratelli.
Con questo augurio, di cuore vi abbraccio e vi benedico nel Risorto!
+ Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo