L’AQUILA: – Dal 14 al 17 maggio, in concomitanza con l’Adunata Nazionale degli Alpini che assieme al Comune hanno dato il loro patrocinio alla manifestazione, l’Aquila ospiterà la mostra fotografica itinerante che racconta la storia degli Italiani di Crimea: una piccola comunità emigrata nell’Ottocento e vittima, nel 1942, di una deportazione di massa nei Gulag dell’Asia Centrale, negli stessi campi di prigionia e di lavori forzati in cui furono rinchiusi migliaia di prigionieri di guerra italiani catturati dall’Armata Rossa e dei quali si sono perse le tracce.
Giovedì 14 maggio, alle 16.30, l’inaugurazione della mostra a Palazzo Fibbioni, nel centro dell’Aquila. Un’occasione per raccontare e ricordare, ma anche per sollecitare le autorità italiane, russe e kazake a sostenere concretamente e a facilitare la ricerca di documenti e informazioni sui detenuti italiani nei Gulag sovietici.
La storia degli Italiani di Crimea
Giunti sulle rive del Mar Nero nel corso dell’Ottocento, gli italiani di Crimea – quasi tutti pugliesi e in gran parte concentrati nella cittadina di Kerch – si inserirono perfettamente nel tessuto locale e anzi, in pochi decenni, dettero vita alla comunità straniera più fiorente e rispettata, capace di affermarsi in tutti i settori della vita economica, dal commercio all’agricoltura, dalle attività legate alla pesca all’artigianato, dalla piccola imprenditoria alle libere professioni.
Con la Rivoluzione d’Ottobre e la collettivizzazione, tutti i loro beni furono requisiti. Poi, negli Anni Trenta, arrivarono le carestie e quindi, nel ’37-’38, il Grande Terrore delle purghe staliniane, coi processi sommari e le condanne a morte o ai lavori forzati.
Alcune famiglie riuscirono a espatriare e a raggiungere Trieste.
Per chi rimase, invece, il 29 gennaio del 1942 fu la catastrofe: per il solo fatto di essere italiani, i circa 2.000 connazionali di Kerch furono rastrellati casa per casa e deportati in massa nei Gulag, come ritorsione contro l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’Armir. Una pulizia etnica in piena regola, ignorata dai libri di storia. In pochi anni la comunità italiana di Crimea fu quasi totalmente spazzata via dal freddo, dalla fame, dalle malattie, dalle fucilazioni, dalle condizioni carcerarie disumane e dai lavori forzati.
Nel dopoguerra il silenzioso ritorno a Kerch di un’ottantina di sopravvissuti, che dovettero ricominciare tutto da zero: senza casa, senza soldi, senza lavoro, con la paura di parlare italiano e additati come traditori.
Una storia angosciante che oggi sta faticosamente tornando alla luce. Una storia di dolore ma anche di grande dignità e di speranza, con l’amore per l’Italia che non è mai venuto meno come dimostra l’attaccamento dei superstiti alla lingua e alle tradizioni degli antenati.
Gli italiani di Crimea hanno costituito l’associazione Cerkio – presieduta dalla signora Giulia Giacchetti Boico – interlocutore ufficiale delle istituzioni italiane e delle autorità locali, nonché di tutti coloro che a vario titolo vogliono fornire il loro aiuto.
Per raccontare la loro storia è stata allestita una mostra fotografica itinerante che sta facendo il giro d’Italia e che è stata tradotta anche in russo, inglese, tedesco e polacco.
Gli obiettivi dell’associazione Cerkio
L’associazione Cerkio si muove su più fronti per il perseguimento di alcuni obiettivi ben precisi:
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Alle autorità russe gli italiani di Kerch chiedono il riconoscimento dello status di minoranza deportata, che in Crimea è già stato concesso a tedeschi, greci, armeni, tatari e bulgari. Un riconoscimento supportato da una copiosa documentazione che comporterebbe la concessione degli stessi diritti già accordati ai deportati delle altre nazionalità: a) la restituzione della dignità, perché la deportazione fu decisa su base etnica, per la sola “colpa” di essere italiani; b) il diritto di tornare in Crimea per chi è rimasto in Kazakhstan e in Uzbekistan; c) il diritto a un indennizzo per le case di proprietà forzatamente abbandonate nel ‘42 e poi occupate da altre famiglie; d) il diritto a piccoli benefici di carattere economico per i superstiti e i loro familiari.
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All’Italia ufficiale chiedono di occuparsi finalmente di loro, dopo anni di oblio. L’associazione Cerkio punta a riottenere la cittadinanza italiana per i superstiti e i loro discendenti che ne facessero richiesta, tenuto conto del fatto che durante il comunismo quasi nessuno di loro rinunciò volontariamente alla cittadinanza dei propri antenati, ma fu costretto a farlo. A questo proposito va tenuto presente che per molti di loro è oggi impossibile ricostruire integralmente il proprio albero genealogico perché la maggior parte dei documenti fu requisita al momento della deportazione ed è andata perduta. Il modello legislativo da recepire è quello che ha per esempio consentito ai tedeschi del Volga di tornare in Germania.
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In via subordinata, Cerkio chiede l’apertura di un canale preferenziale per i membri della comunità italiana di Crimea che faciliti al massimo i loro viaggi in Italia per motivi di studio, di turismo o di lavoro sottraendoli al decreto flussi e a tutte le procedure che attualmente riguardano un qualunque cittadino extracomunitario. Problemi facilmente superabili concedendo agli italiani di Crimea che ne facessero richiesta un permesso di soggiorno di lunga durata.
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Alle ambasciate italiane a Mosca e ad Astana si chiede un forte impegno nel reperimento di tutti i documenti ancora chiusi negli archivi russi e kazaki, sia per rendere il quadro complessivo sempre più nitido, sia per aiutare le singole famiglie a ricostruire il proprio passato. In particolare è importante recuperare tutte le schede degli italiani di Crimea custodite nei musei dei Gulag in Kazakhstan e negli archivi dell’NKVD a Mosca.
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Ai Comuni pugliesi dai quali gli italiani partirono nell’Ottocento si chiede di collaborare attivamente per fornire tutta la documentazione anagrafica necessaria a ricostruire gli alberi genealogici, nonché di favorire l’interscambio culturale e il riavvicinamento fra le comunità.
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Tra gli obiettivi primari dell’associazione Cerkio c’è l’apertura a Kerch di una Casa della Cultura Italiana sotto l’egida della Società Dante Alighieri, dove potersi riunire per studiare l’italiano, consultare la biblioteca e tenere corsi di cucina per conservare le tradizioni culinarie delle regioni d’origine.