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Verona: Giulietta come una santa, migliaia di pellegrini per chiedere aiuto alla giovane suicida per amore.

Pubblicato da Redazione
lunedì, 29 Luglio 2013 - 15:11
in Cultura

di Anna Maria Colonna: – My dearest Juliet, I meet my husband G. here in Johannesburg on the 13th of February 1992. He fought for freedom and had recently been released from Robben Island (where he spent 14 years as a political prisoner). I was a young journalist from Northern Sweden . People said it would never last: he was black, I was white. He was 40, I was 22. He had spent too long time in prison. A doctor told us ita was very unlikely that we would have children as G. had been tortured with electrical shocks… (A. L.)

Cara Giulietta, quando diventi mamma, non ti cancelli come donna, e se la donna muore piano piano anche per un’unica ragione, la mamma rischia di rimanere solamente l’appendice dei figli. Un giorno ho divorziato. Ed ero felice. Potevo finalmente dare il meglio di me ai miei figli. Ed eccomi, sola, con tre figli, con un lavoro molto impegnativo, pensando di sapere già come condurre la vita, felice delle prospettive. Ed ho incontrato un uomo, senza cercarlo, quasi per sbaglio. Lui era divorziato con un figlio… (A. D.)

Cara Giulietta, sono un uomo e amo un altro uomo. Non so come dirglielo. Sento che anche lui prova attrazione per me. Quando ci incrociamo, i nostri sguardi non finisco mai. Amare non è amare se stessi ancora di più, molto di più, in presenza di questo essere che ci infiamma? (F. T.)

Un fiume in piena scorre sugli scontrini del caffé buono di Piazza delle Erbe, simile all’Adige che lava le nude forme di Verona. Il retro bianco fa da tavolozza all’inchiostro blu della penna nuova. Luglio è a metà del suo cammino e il sole sorseggia l’umidità che impregna la cittadina veneta. La notte mi ha portato qui, nei luoghi del tragico amore tra Romeo e Giulietta. Giulieitta, come scrivono i cinesi. Una santa che trascina sulla sua tomba di marmo rosso migliaia di pellegrini.
Non c’è distanza che tenga. Molti raggiungono Verona per consegnare «di persona» la propria lettera a Giulietta. Storie di amori cercati, ritrovati, contrastati per differenza di religione, di cultura, di sesso. Perché il colore della pelle non è uguale. Storie di abbandoni, di divorzi, di violenza, di disperazione, ma anche di estrema felicità. Concretezza del quotidiano che tace.
La cassetta della posta introduce al sacello scoperchiato e senza corpo della giovane suicida. Una leggenda con il sapore della realtà. La statua di Liang e Zhu, ribattezzati Romeo e Giulietta d’Oriente, saluta l’ingresso sospeso dei visitatori. Il comune cinese di Ningbo (???) l’ha donata a Verona nel 2008. Pochi scalini e la luce fioca della cripta raggela, mentre il muschio profuma di pioggia millenaria.
Da via del Pontiere, verso il centro, in via Cappello. Sotto il balcone di casa Capuleti scorre una fiumana di turisti pronti ad accarezzare il seno destro della statua di Giulietta. Si dice che porti fortuna in amore. Il mondo ha lasciato i propri sentimenti nel cortile dell’abitazione medievale. Sulle pareti le dichiarazioni si sovrappongono e lasciano spazio ad un groviglio di emozioni. A pochi passi, nel complesso medievale di via Arche Scaligere, c’è la casa paterna di Romeo. Penso alle lacrime e ai sorrisi nascosti dietro ogni parola scritta. Nel piccolo ufficio di via Galilei, le volontarie del Club di Giulietta rispondono a tutto il mondo. In cinese, in spagnolo, in inglese, in francese, in fiammingo.

- Una parte delle lettere inviate a Giulietta da tutto il mondo.
– Una parte delle lettere inviate a Giulietta da tutto il mondo.
Oltre seicentomila messaggi in dieci anni per una media di sessantamila lettere annue, spesso accompagnate da cartoline, oggetti simbolici o anche ciocche di capelli.
Giulietta rivive nella speranza di chi scrive. Nelle antologie scolastiche inglesi, che prevedono, fra i compiti da assegnare a casa, una lettera indirizzata all’eroina shakespeariana. Nelle tele di Frank Dicksee, di Richard Dadd e di Francesco Hayez. Attraverso le pennellate bionde di Frederick Bacon e nelle sfumature senza luce di Pietro Roi. Stringo i pensieri nelle pagine bianche di un quadernetto appena comprato. L’Arena si affaccia su piazza Brà, mentre il sole splende basso sull’orizzonte e l’Adige si trasforma in un fiume di inchiostro. Percorro la via dei negozi in cerca della trattoria Da Ropeton, che in dialetto locale vuol dire persona confusionaria. Ma le indicazioni portano verso i resti del teatro romano. Le tagliatelle alla crema di tartufo e noci fumano davanti ad un bicchiere di Biandolino, mentre il proprietario della locanda canta. Sistemo le impressioni dell’intensa giornata e, fra gli appunti, ritrovo un’altra lettera:
Dear Juliet, when you feel in love with Romeo, did you ever doubt that you might want someone else? In fear of losing him, did you just bare it in silence? I’m terrified, Juliet. Please, help me. (Erika).

A Verona vive il mondo che ama e che cerca qualcosa. Una risposta, una persona, un ricordo, un sentimento, se stesso. In un patto «senza tempo», nell’«amarezza soffocante» e nella «salutare dolcezza» di cui scrive Shakespeare. E l’acqua scorre sotto i ponti che stringono l’Adige, mentre le luci della sera aprono il cancello alle stelle. A piedi nudi davanti al Duomo, il silenzio improvvisa dei passi di danza indossando il velo dei pensieri.
Qualcuno si è già addormentato sulla panchina. Pochi stracci addosso e forse la delusione di un amore mai vissuto. Sogna il domani e scrive la sua solitudine in una lettera a Giulietta. Lei risponderà. Come sempre. Compagnia di parole. L’uomo si sentirà più amato. Compreso. Meno solo.  

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