L’AQUILA – di Angela Casilli – L’attenzione finora prestata al tema dell’emigrazione, vera e propria emergenza negli ultimi giorni, ha impedito un po’ a tutti di vedere l’Africa per quella che è, cioè un continente di grandi opportunità per le enormi risorse di cui dispone, che hanno spinto grandi potenze come l’America, la Cina, la Russia, l’India e da ultimo Arabia Saudita e Turchia ad aumentare la loro presenza nei paesi africani non solo per sfruttare le enormi risorse di cui si è già detto ma per costruire molte più fabbriche e infrastrutture di quanto non abbiamo fatto noi europei.
L’emergenza profughi, che è sotto gli occhi di tutti, ha fatto sì che del continente africano avessimo una percezione distorta, unidimensionale, come terra di esodi biblici, di tragedie immani a causa del continuo “surplus” demografico del Continente, difficilmente riassorbibile, e causa principale della pressione migratoria degli ultimi tempi. Tesi ampiamente smentita dalle ultime proiezioni in materia, che parlano di una “curva” in netta discesa a fronte dei “picchi” di natalità di una volta.
Le ragioni di un tale cambiamento, che fotografano una realtà diversa da quella che si pensava, sono da ricercare nell’aumento della scolarizzazione femminile e nell’urbanizzazione che ha cambiato i comportamenti di tutti, uomini e donne, perché nel passaggio dalla campagna alla città cambia il modo di vivere, cambiano i costumi.
Occorre, quando parliamo dell’Africa, riconoscere e studiare senza sottacerle le diversità di questo Continente, abbandonando gli stereotipi legati ad un passato coloniale, che riemerge sempre, quasi come un “mea culpa” quando aumentano i flussi migratori. Occorre prestare attenzione alle voci dei protagonisti africani, ai dibattiti che si svolgono anche da loro e che non si concentrano solo sull’emergenza migranti, meno visibile mediaticamente rispetto ai paesi europei, ma trattano di modelli da seguire, che sono poi quasi tutti asiatici, perché l’Asia, fino a qualche decennio fa, ha avuto gli stessi problemi e li ha risolti meglio di quanto si pensasse.
Le “bombe demografiche“ di Cina e India non spaventano più, forse perché non erano vere e proprie bombe, e l’India condannata alla carestia, oggi esporta in tutto il mondo riso e cereali, diventando di fatto, una superpotenza agricola. Per non parlare poi della Cina: il “dragone asiatico” è presente in quasi tutti i paesi dell’Occidente e nelle sue università si sono formati molti leader africani, perché la formazione delle nuove classi dirigenti africane, è uno degli investimenti più a lungo termine a cui pensare e i cinesi lo hanno capito molto prima di noi che, spesso, derubiamo l’Africa dei suoi migliori talenti.
L’Africa possiede risorse minerarie e metallifere indispensabili per il passaggio ad una economia sostenibile, ma non vede di buon occhio l’ipocrisia dei nostri ambientalisti e preferisce il pragmatismo dei cinesi, che investono molto nelle energie rinnovabili ma esportano anche centrali nucleari e a carbone.
L’Italia, oltre a chiedere all’Europa solidarietà nella ripartizione dei flussi migratori, a dir la verità senza grande successo, visti i rapporti tesi con la Germania che ha blindato le sue frontiere, dovrebbe convincere i partners europei a guardare all’Africa e alle sue enormi possibilità, non come terreno di nuove conquiste, di nuovo colonialismo, ma come terra di investimenti che assicurino benessere e, dove c’è bisogno, ordine e stabilità.
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