L’AQUILA – di Alessio Ludovici – Una storia lunga sette secoli e spicci, iniziata nel 1308. A raccontarla ieri agli agli studenti dell’Istituto da Vinci – Colecchi dell’Aquila il professor Maurizio Leopardi. Durante l’iniziativa, programmata nell’ambito degli appuntamenti promossi dalla Gran Sasso Acqua per la giornata mondiale dell’acqua, Leopardi ha ripercorso le vicende dell’acqua in città, una storia affascinante ed incredibile e di cui si può andare anche piuttosto fieri. Nel corso della mattinata anche l’intervento del direttore tecnico della Gsa, Mario Di Gregorio.
Il primo acquedotto della città: 1308
“L’acqua, al di là delle discussioni sull’origine del nome della città, è una costante dell’Aquila”. Nastro riavvolto fino al 1308: è la data di nascita del primo acquedotto cittadino, voluto da un frate e realizzato sotto l’egida del capitano della città. Una rappresentazione se ne trova in due carte di ben 500 anni dopo.
L’originario acquedotto aquilano nasce nella zona di San Giuliano e poi fa tutto un percorso fino alla cosiddetta “casetta dei fontanieri”, nei pressi dell’attuale Torrione. Lì l’acqua veniva intubata fino all’odierna Fontana Luminosa e quindi alla zona della Commenda dove finiva in un serbatoio. Dal serbatoio del Carmine veniva quindi distribuita in delle sentine dove l’acqua ristagnava e generava non pochi problemi di salute pubblica. Ma era comunque un acquedotto che garantiva una portata di litri al secondo sufficiente per 10-15mila abitanti e ben superiore a quella di altre rinomate città di epoca medioevale e moderna.
La svolta tra otto e novecento: San Giuliano, Pile e Chiarino
Il sistema ha una sua prima rivoluzione tra ottocento e novecento. Il nuovo acquedotto di San Giuliano, in pieno ‘800, va dritto in città attraverso Porta Branconio fino a raggiungere un serbatoio sempre nella zona della chiesa del Carmine. Le tubazioni, dai canali scoperti, in legno o di conci in pietra lasciano spazio alla ghisa.
Nel 1922 arriva un altro acquedotto, è quello di Pile tuttora in uso. Pile era più in basso rispetto alla città, l’acqua quindi veniva sollevata fino a San Giuliano. Di lì a qualche anno arriva l’acquedotto del Chiarino che porta la disponibilità di acqua a 230lt per abitante. Quello del Chiarino ha una portata variabile da 35 a 70 lt secondo, nasce alle pendici del Gran Sasso da una serie di sorgenti dai cui bottini di presa l’acqua viene trasportata fino al serbatoio di San Giuliano, un cubo verde vicino a un manufatto più antico facilmente visibile dalla città, quello è il serbatoio del Chiarino. Il Chiarino ben presto si evolve, nascono diramazioni verso Lucoli, Roio e Tornimparte.
Siamo in pieno novecento ed è in corso la radicale trasformazione della distribuzione, dalla tipica conca delle donne al rubinetto di casa, fanno un passo indietro le fontanelle pubbliche, vero snodo della vita sociale per secoli.
Il Dopoguerra, la Ferriera e i pozzi di Acqua Oria
In pieno dopoguerra c’è una nuova svolta che inizia tra il ’49 e il ’52 quando nasce l’acquedotto della Ferriera. Nel 1950, il racconto di Leopardi, il Piano generale acquedotti fissa in 80 lt secondo al giorno per abitante il fabbisogno da raggiungere, in Abruzzo si moltiplicano gli sforzi e le realizzazioni, la Ferriera o, ad esempio, gli acquedotti del Tavo Saline.
A progettare la nuova infrastruttura della Ferriera è l’ingegnere aquilano Federici. La complessa opera corre per 65 km dalle sorgenti che la alimentano, come quella di San Sebastiano, fino all’Aquila. Pile a quel punto non serve più alla città e viene dirottato su Roio.
Nel 1965 arriva l‘acquedotto di Acqua Oria, poco prima di San Vittorino. Importantissima fonte di acqua che serve oggi una buona fetta della città dell’Aquila. Nasce da nove campi pozzi dove l’acqua, con un sistema a sollevamento meccanico, viene tuttora sollevata fino al Monte Caliglio. Qui, per gravità, acquisisce la forza necessaria per la distribuzione fino al serbatoio della Ferriera nella zona del Torrione. L’Aquila a quel punto può contare su 475litri/persona, quasi il doppio delle altre città e il Chiarino viene dirottato quasi totalmente verso la zona ovest e Lucoli. Nel 2009, a seguito del terremoto, il sistema di Acqua Oria/Monte Caliglio si arricchisce di un enorme serbatoio da 10mila metri cubi che serve a garantire l’acqua ai nascenti progetti C.a.s.e. della zona.
“Un’opera unica al mondo”: la nascita dell’acquifero del Gran Sasso
“Un’opera unica al mondo”, così il professor Leopardi ha illustrato ai ragazzi la sfida ingegneristica dell’acquedotto del Gran Sasso. Nato per caso, mentre si scavava il traforo dell’autostrada un’esplosione apre una falla in un serbatoio naturale che comincia a pompare 7mila litri di acqua al secondo dentro le gallerie e negli abitati fuori – dove ben ricordano l’evento – giù per il Raiale fino a Paganica. Nei giorni successivi all’apertura la portata aumenta, si allagata tutta la galleria e Assergi sarà costretta convivere con le sirene di allerta.
Per far fonte alla situazione inizialmente si tappò tutto ma c’era un’autostrada da finire e gli anni ’80 annunciavano una nuova imponente espansione di abitazioni, nelle città, come al mare per le seconde case e quindi un crescente fabbisogno di acqua. Oggi il Gran Sasso serve centinaia di migliaia di rubinetti in tutto l’Abruzzo.
Si decide di utilizzare quell’acqua. Per capire cosa fare ci vogliono tre anni e il contributo ingegneristico di tecnici che arrivano anche dalla Francia. Nasce un complesso sistema di tubazioni sopra le volte del traforo che drenano l’acqua direttamente dalla montagna e la convogliano attorno alle canne in un sistema di tubazioni e gallerie che si trovano al di sotto del manto stradale. Una parte va a Teramo dove alimenta anche una turbina, l’altra – ma i lavori saranno complicati dalla roccia calcarea del versante aquilano – verso il capoluogo di Regione.
Tra l’82 e l’87, intanto, nascono anche i laboratori del Gran Sasso, mentre i lavori di captazione del Gran Sasso proseguono. Nasce, alla fine, una complessa infrastruttura oggi oggetto di grandi investimenti per renderla compatibile con la normativa vigente – complessa la convivenza tra laboratori, acquifero e autostrada – e di una rimessa a nuovo su cui si lavora da un po’ sotto l’egida di un Commissario straordinario.
Le criticità non cancellano gli sforzi dell’epoca che ancora oggi garantiscono una grande sicurezza per le nostre acque: l’acqua verso L’Aquila viene infatti prima convogliata in delle grandi vasche. Ogni vasca ha un ciclo di 6 ore, ma si riempie in appena un’ora. L’acqua rimane ferma per due ore prima di riempire uno dei sei serbatoi. Tutto si svolge sotto la montagna e in quelle due ore in cui sta ferma l’acqua è sottoposta ad analisi. Ogni 7 minuti viene analizzata l’acqua del Gran Sasso e un sistema automatizzato fa scattare gli allarmi, le saracinesche e fa scaricare l’acqua in caso di incidenti in galleria o sversamenti: è quello che successe esattamente durante la “crisi” del toluene.
L’odierno sistema di controlli della Gran Sasso Acqua
“La nostra acqua arriva ai rubinetti di 170mila persone nella zona ovest ed est della città fino ai confini con Sulmona” è intervenuto poi il direttore tecnico di Gran Sasso Acqua, spiegando i controlli di sicurezza delle acque alle sorgenti. “Con il telecontrollo posso vedere anche dal cellulare, in tempo reale, la qualità e la disponibilità dell’acqua. Il monitoraggio è effettuato con un team di biologi – ha spiegato Mario Di Gregorio – reperibili 24 ore su 24. Controlliamo dei parametri cosiddetti “spia” che sono torbidità, idrocarburi e conducibilità, i prelievi vengono effettuati in corrispondenza delle candele ogni 4 minuti, dopo 3 minuti abbiamo le risposte quindi ogni 7 minuti so se l’acqua è buona e 4 ore prima che l’acqua vada in distribuzione, in caso di allerta riceviamo un sms e nel caso attiviamo l’unità di crisi”.
“Abbiamo anche un gascromatografo – ha aggiunto il direttore – ogni 40 minuti sappiamo esattamente cosa c’è nell’acqua, molto al di sotto delle 4 ore di tempo perché arrivi ai rubinetti e gli analizzatori nei nostri laboratori di Assergi, presenti fin dall’inizio della nascita dell’acquedotto, che danno risposte in 50 minuti sulla presenza di cianuri, nitriti e carbonio organico con tutto il tempo necessario ad agire, in caso di contaminazioni. Sono i tre sistemi di garanzia di qualità”. La giornata didattico formativa si è conclusa con il test, sulle buone pratiche e su proposte per il risparmio idrico, distribuito ai ragazzi che saranno discusse in un confronto pubblico al quale parteciperanno anche i Sindaci soci.
(fonte www.laquilablog.it)
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