L’AQUILA – Quest’anno nella 728esima Perdonanza Celestiniana Papa Francesco, con il rito dell’apertura della Porta Santa nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, ha lasciato alla città dell’Aquila il grande privilegio di prorogare di un anno l’indulgenza della Perdonanza. Infatti fino al 28 agosto 2023 i fedeli e i pellegrini che si recheranno all’Aquila, potranno lucrare ogni giorno l’indulgenza plenaria partecipando ai riti in onore di San Celestino V oppure raccogliendosi in preghiera “al cospetto delle spoglie del Santo per un congruo spazio di tempo”.
Floro Panti, studioso e grande conoscitore della storia di Papa Celestino V, ha raccolto in un volume (pubblicato del 2018), tutto quello che è venuto fuori dai sui continui studi sulla vita del Frate del Morrone, quel Pietro Angelerio che rinunciò al papato nel 1294.
Qui Panti ci parla della permanenza di Papa Celestino V all’Aquila dopo la sua incoronazione.
…Santo petro beneditto quando se coronao, all’hora ad colle magio la indulgentia donao. Dui cardinali de Aquila ei fece consacrao: Beneditto sia laudato; chi l’Aquila esaltao.
(Buccio da Ranallo – Poeta Epico aquilano sec –XIV “Cronica “)
Già all’indomani della sua Incoronazione, Celestino V, cominciò la riorganizzazione degli Uffici Curiali, in primo luogo la Cancelleria, che fu affidata a Giovanni di Castroceli Arcivescovo di Benevento. Le funzioni più importanti in quest’ufficio, furono esercitate dal giurista e protonotario di Re Carlo II, il “miles” Bartolomeo da Capua, il quale senza rinunciare al suo posto di capo della Cancelleria Regia, entrò in quella Pontificia come notaio apostolico, unico funzionario laico. A lui si deve la stesura dei documenti più qualificanti del Pontefice. Alcune lettere di Celestino V conservate in un manoscritto della Biblioteca Nazionale a Parigi, lasciano supporre che anche la Camera avesse ripreso a funzionare; come primo camerlengo figura Pietro da Sorra Vescovo di Arras e chierico del Re di Francia. Re Carlo II mise anche uomini di sua fiducia in vari rami dell’amministrazione pontificia: Rainaldo di Lecto diventò maresciallo di corte, altri furono nominati nella carica di rettore delle province dello Stato della Chiesa: Odorisio da Aversa nel Patrimonio di San Pietro, Roberto de Cornay in Romagna, Gentile di Sangro nella marca di Ancona.
In settanta giorni di permanenza all’Aquila furono ben sessanta gli atti pontificali compiuti da Celestino, fra questi, i più significativi da ricordare sono:
- Il 30 agosto 1294 Celestino con lettera esecutoria all’Abate Onofrio di Comino e al Convento di S. Spirito di Sulmona unisce al monastero stesso la Chiesa di S. Severo de Poppleto de Aquila, esentandola dalla giurisdizione del Vescovo di Aquila e da quella della Santa Sede.
- Il 31 agosto 1294 Celestino comunica con lettera esecutiva all’Abate Onofrio da Comino e al Convento di Santo Spirito del Morrone l’annessione della chiesa di S. Cesidio di Caporciano (Aq) in Diocesi di Valva.
- 2 settembre 1294 Celestino si rivolge a tutti i fedeli, concedendo indulgenza di cinque anni e duecento giorni a coloro che visitino la Chiesa di Santa Maria di Trivento.
- Il 12 settembre 1294 Celestino conferma l’elezione di Robert Winchelsea ad Arcivescovo di Canterbury, avvenuta nel marzo del 1293 e non ratificata a causa della lunga vacatio della cattedra pontificia. Con tale atto fu permesso al prelato inglese di far ritorno nell’isola, da cui era partito diciotto mesi prima e dove sarebbe giunto l’1 gennaio 1295, sbarcando a Yarmouth.
- Il 18 settembre 1294 Celestino nomina dodici Cardinali.
Il lungo Conclave aveva dimostrato il bisogno di questo incremento non foss’altro per superare l’impasse dovuto alle lotte fra le fazioni nobiliari romane. Tra i nuovi Cardinali cinque erano Italiani e sette Francesi. I cinque Italiani furono: Tommaso di Ocre e Francesco Ronci di Atri (che morirà a Sulmona nei primi giorni di ottobre), tutti e due erano monaci della Congregazione Celestina, il Benedettino fra Pietro Vescovo eletto di Valva e Sulmona del titolo di S. Croce in Gerusalemme, il napoletano Landolfo Brancaccio e Guglielmo Longis o Longo di Bergamo. I sette Cardinali Francesi furono Roberto Abate di Cìteaux, Simone, priore del Monastero di La Charitè, Simone de Beaulieu Arcivescovo di Bourges, l’Arcivescovo di Lione Berard de Got, che era stato il capo della delegazione del Sacro Collegio recatosi a Sant’Onofrio ad annunciare l’elezione al soglio pontificio a Pietro, Jean Lemoine, noto canonista e Nicola di Nonancour, cancelliere dell’Università di Parigi e decano del capitolo parigino e infine, Guglielmo Ferrer.
- Il 20 settembre 1294 aggrega il monastero di S. Giovanni in Piano della diocesi di Lucera a quello di S. Spirito al Morrone allo scopo di soddisfare anche le esigenze della transumanza abruzzese, cosa che i monasteri Celestini esercitavano da anni. Sempre in questa data nomina l’aquilano Tommaso di Ocre, monaco della sua Congregazione e da poco eletto Cardinale, ad Abate di questo importante monastero.
- Il 22 settembre 1294 Celestino esenta il Monastero di S. Pietro ad Aram di Napoli dalla giurisdizione del Vescovo di Napoli, di altri vescovi e dall’Abate di S. Lorenzo di Aversa e lo unisce al Monastero di S. Spirito di Sulmona
- Il 28 settembre 1294, Celestino, si fece parte diligente dell’istanza del popolo aquilano tesa a indurre Re Carlo d’Angiò II a condonare l’ammenda comminata alla città dell’Aquila, dopo la morte del tribuno Niccolò dell’Isola. Nella storiografia aquilana, una parte d’onore è certamente occupata proprio dal Re in virtù delle concessioni da lui fatte soprattutto con il diploma rilasciato in questa data. Nel documento il Re nel ricordare come il padre era stato il rifondatore e il legislatore della Città, indica di volerne seguire le orme nella politica di favore verso la “universitas” aquilana. Il diploma fu redatto in Aquila all’indomani della storica incoronazione dell’eremita del Morrone a Papa Celestino V, in un momento quindi di grande esultanza civica. Carlo II con questo privilegio perdona, su diretta opera di mediazione del Papa, agli aquilani sia tutti gli eccessi che erano avvenuti con la distruzione delle rocche, che le furibonde lotte – “le brighe” – intervenute fra gli abitanti di Paganica, Bazzano e in altri quartieri, facendo si, fra l’altro, che potessero rientrare in città tutti coloro che erano stati esiliati per queste cause. Furono così fatti rientrare in patria i fuorusciti e rappacificati con i loro avversari; fu rimessa al Comune dell’Aquila l’ammenda comminata e per di più furono confermati i privilegi concessi da suo padre, Carlo I, alla Città. Detti privilegi stabilivano che la Città fosse riserbata al regio demanio, non fosse tassata più per i singoli castelli di cui avrebbe goduto il pieno possesso da sopra le gole di Popoli fino a quelle di Antrodoco e avesse continuato a vivere secondo le proprie leggi e i propri statuti, fatta salva la devozione al Re. Nel diploma risultano elencati anche i “castra” esistenti nell’ambito del “comitatus”, si da dare una esatta configurazione geografica di come questo si presentava nel 1294. Le terre assommavano a 71 con un discreto aumento rispetto alle 55 elencate in un decreto tributario del 1269. Questo atto è stato interpretato da molti studiosi come una vera e propria “Perdonanza laica” che seguiva quella religiosa concessa da Papa Celestino nel giorno della sua incoronazione, e che sarebbe poi stata resa ufficiale con l’emanazione della Bolla Papale il giorno seguente: 29 settembre
- Sempre il 28 settembre, Celestino emanò quello che, forse fin dal primo momento della sua elezione al papato, a lui era apparso uno dei più urgenti bisogni: porre un freno ai lunghi dissidi dei Cardinali elettori, per cui nella seconda metà del sec. XIII era rimasta spesso per lunghi mesi vacante la sede pontificia. Richiamò in vigore, per i Conclavi, la severa Bolla di Gregorio X, sospesa da Adriano V e Giovanni XXI. La Bolla si può riassumere in poche parole così: “…dopo dieci giorni dalla morte del Pontefice, senza aspettare gli assenti, si congreghino i Cardinali elettori in un luogo rigorosamente chiuso, senza lettere e senza comunicazione con l’esterno, finché non si abbia un nuovo Papa”. Per la verità erano previste sanzioni ancora più severe, come quelle: “..che trascorsi tre giorni fosse servita una sola vivanda, e dopo ulteriori cinque giorni fosse servito solo pane e acqua”. Tale costituzione è ancora oggi in vigore quando è indetto il conclave.
- Il 29 di settembre Celestino V emanò la Bolla della Perdonanza.
Celestino V da parte sua, oltre a questo grande privilegio, ne concesse anche uno non meno importante ma rivolto ai soli Aquilani. Molti immigrati in Città avevano infatti avanzato istanza per veder riconosciute alle chiese di nuova edificazione entro le mura, le stesse indulgenze in vigore nelle corrispondenti chiese del contado, dove gli abitanti non si recavano più se non: “…con molto incommodo cammino e di domestici affari”. Il Papa, non solo provvide a confermare le indulgenze che erano in vigore, ma ne concesse altre alle stesse chiese “entro” alla Città. Con molti altri atti beneficò inoltre i monaci della sua Congregazione, come risulta dalla Bolla Etsi cunctos del 27 settembre. Anzitutto i monasteri della Congregazione furono esentati definitivamente dalla giurisdizione Vescovile e fu abolita la dipendenza di S. Spirito di Sulmona con tutti i possedimenti presenti e futuri, dal Capitolo di S. Pietro di Roma. Celestino dispose che tale esenzione continuasse ad avere vigore anche nel caso in cui fosse revocata da lui stesso o da un suo successore.
Fu stabilito che il Capitolo Generale della Congregazione dovesse essere convocato ogni anno per trattare tutte le questioni inerenti l’ordine, e per sostituire il Padre Abate, che non sarebbe potuto restare in carica per più di tre anni. L’Abate Generale, eletto dai monaci delegati dal Capitolo, riuniti in Conclave, non avrebbe avuto bisogno di alcuna conferma da parte della Santa Sede. La Congregazione era altresì accolta sotto la protezione della Sede Apostolica. Al Padre Abate furono concesse prerogative Vescovili, come quelle di: impartire benedizioni solenni, benedire i vasi e i paramenti liturgici, le fondamenta e la prima pietra nelle costruzioni di edifici sacri e, per ultimo, il conferire gli ordini minori ai confratelli. All’Ordine furono concesse numerose altre facoltà: celebrare i riti sacri in tempo di interdetto, amministrare i sacramenti e seppellire i defunti nei propri cimiteri, predicare al popolo la parola di Dio.
Altri atti emanati da Celestino, riguardarono ordini con tendenze spiritualistiche o eremitiche. In questo contesto s’inquadra anche la prima riforma dell’ordine di S. Francesco.
Fin da quando il Santo di Assisi era partito la seconda volta per la Siria, e affidata la direzione dell’ordine a fra Elia da Cortona, questi propose di mitigare la Regola, sollecitato da una buona parte di frati. Morto S. Francesco e succedutogli proprio Elia, questo tentativo si rinnovò con successo. La fazione della più stretta osservanza si strinse allora a S. Antonio da Padova. Però i contrasti duravano nell’Ordine. Per ben due volte fra Elia fu eletto generale e per due volte deposto. S. Bonaventura stette con gli “austeri”, però sottomesso alla Chiesa; mentre altri si sottrassero al Papa.
Dopo la morte di S. Bonaventura i contrasti continuarono. Gli austeri si denominarono “Spirituali” ovvero “Zelatori”, gli altri “Frati della Comunità”. I Pontefici Gregorio IX e Innocenzo IV, furono favorevoli agli Spirituali, mentre Niccolò III emise, durante il suo Pontificato, una Bolla per mitigarne la Regola.
A tale stato erano le cose quando, fra l’agosto e l’inizio di ottobre, Celestino V ricevette i capi dei Francescani Spirituali tornati dall’esilio in Armenia: Pietro da Fossombrone soprannominato Angelo Clareno, Pietro da Macerata detto fra Liberato e Tommaso da Tolentino. Celestino li assolse da ogni obbedienza all’ordine loro, e gli diede la libertà di formare una speciale congregazione quella dei “Pauperes Heremite Domini Coelestini”, invitando i frati ad indossare l’abito dei Fratelli dello Spirito Santo, cioè quello dei suoi stessi monaci.
Nel Medioevo l’abito era il contrassegno dello “status”: si operò quindi, in questo momento, non solo un cambiamento dell’abito francescano in quello monastico, ma Celestino attribuì ai frati un nuovo “status”. E questo cambiamento assunse un significato ancor più profondo poiché permise ai frati che pur indossavano un abito monastico, di poter servire la loro “regola e vita”. Cosa dunque Celestino V offrì a questi frati? La possibilità di continuare a osservare la Regola Francescana e il loro modo di vivere che voleva essere l’imitazione più possibile fedele dell’esempio di Francesco, nascondendo questa particolare situazione sotto l’abito monastico.
Animati da questa concessione Corrado da Bazzano, Giacomo da Todi, Pietro da Monticchio, Tommaso da Trivento e Corrado da Spoleto ed altri dissidenti chiesero anch’essi di poter vivere in modo indipendentemente la severa Regola di S. Francesco e il testamento del Santo.
Questo benevolo accogliere sotto la pontificia protezione i dissidenti dei frati minori, e il continuo ingrandire, con singoli privilegi, la Badia di Santo Spirito a Sulmona con altri monasteri del nuovo Ordine dei Celestini, che Carlo II d’Angiò andava arricchendo con sempre nuove elargizioni, non erano certamente ben visti dagli altri ordini religiosi.
Tutti gli atti compiuti da Celestino in questa fase, furono giudicati in maniera diversa, secondo gli umori dei suoi contemporanei, nel rimescolarsi continuo delle passioni partigiane in mezzo a fiere lotte, che sia nel campo politico che in quello religioso, prendevano le più strane e capricciose forme. Il suo successore, Bonifacio VIII, nel 1302, abolì il sodalizio dei Poveri Eremiti. Parte di questi uscirono allora nuovamente dall’Italia e ripararono in Grecia, altri si nascosero fra le montagne dell’Abruzzo e delle Marche, originando, alcuni di essi, la sozza eresia dei Fraticelli, che combattuti da tutti i Papi che seguirono Bonifacio VIII scomparvero poi nel 1328.
Gli altri Poveri Eremiti “Celestini”, rimasti nel dogma cattolico, fra i quali il celebre Jacopone da Todi, durarono all’interno della Chiesa con il nome di Clareni fino al 1556, anno in cui, Papa Pio V li obbligò a riunirsi al ceppo Francescano.
- Il 1° ottobre, il Papa conferma le disposizioni della pace di Junquera. È importante, in questo atto, la clausola che prevedeva la restituzione dell’isola di Sicilia alla Chiesa da parte di Giacomo II D’Aragona, entro tre anni dalla festa di Ognissanti del 1294. Dopo essere rimasta per un anno sotto il dominio della S. Sede, l’isola doveva essere concessa di nuovo a Carlo II D’Angiò. Fu disposto inoltre di mandare contemporaneamente un’ambasceria pontificia alla Corte Francese per rendere nota la ratifica. Sempre in questa data l’Arcivescovo Bertrard de Got, fratello del Cardinale de Got, da poco nominato, e che molti anni dopo la morte di Celestino sarà elevato al soglio pontificio con il nome di Clemente V (il Papa che nel 1313 proclamerà Santo fra Pietro del Morrone ad Avignone), fu mandato presso Edoardo I d’Inghilterra con l’incarico di mediare nella complessa questione del conflitto tra quest’ultimo e Filippo IV di Francia. Con un atto scritto di suo pugno, Celestino V deplora il dissidio esistente, dichiarando che è dovere del Papa ristabilire la pace, rincrescendosi del fatto che data la vecchiaia e la lunghezza del viaggio non può essere nel luogo dove è insorta la contesa ed esorta il Re stesso a proseguire nei suoi progetti di una nuova crociata in Terra Santa.
Lascia il tuo commento