L’AQUILA – di Paola Retta – Gastriti, cefalee, depressione, spossatezza, senso di angoscia, insicurezza costante e continua, dermatite, alopecia, disturbo dell’adattamento, disturbo post traumatico da stress sono solo alcuni degli spiacevoli effetti psicofisici che derivano da una situazione lavorativa infausta, nella quale si è incappati sfortunatamente in un collega o in un capo/datore di lavoro mobber.
Per capire bene cosa succede psicologicamente ad una persona quando subisce degli atti di bullismo sul luogo di lavoro è importante accennare a come funziona la personalità. A tale scopo, usiamo la metafora della casa: affinché una casa possa resistere nel tempo e possa “reggere”, ad esempio uno stress da terremoto, deve avere una buona struttura di base, le fondamenta devono essere solide e costruite con i giusti e necessari elementi. La personalità dell’essere umano segue la stessa logica: nei primi anni di vita si formano le fondamenta su cui si appoggerà tutta la struttura della personalità dell’individuo. Se un soggetto non ha una struttura solida della personalità, di fronte a degli “scossoni emotivi” o atti di bullismo, cede e nel cedere, lo stato di salute mentale che ne consegue potrebbe compromettere innanzitutto il suo ruolo professionale. Una personalità più solida, che è tipica di chi ha avuto un’infanzia felice e sicura, o di chi in età adulta ha avuto l’occasione di riparare e rinforzare la sua struttura, permetterà al lavoratore mobbizzato di contenere la rabbia e il dolore derivanti dagli attacchi e dalle squalifiche, per poi difendersi in modo sano e costruttivo trovando le migliori soluzioni per fronteggiare il mobbing. Viceversa, una personalità con una struttura di base fragile può andare incontro a dei veri e propri scompensi, non avendo le risorse emotive per fronteggiare attacchi alla professionalità, calunnie, demansionamento e tutto ciò che va a ledere il suo ruolo professionale.
È pur vero che il mobber, come già analizzato nei precedenti articoli, ha una personalità psicopatologica tale da scegliere, come proprie vittime designate, coloro che hanno una struttura fragile e che reagiscono quindi, nella maniera che più dà soddisfazione a chi li vessa. Si tratta di un incastro che funziona, nel senso più malsano del termine.
Un lavoratore equilibrato e strutturato, sicuro e consapevole delle sue competenze, saprà rispondere nella maniera più adeguatamente dal punto di vista psicologico preservando un certo compenso mantenendo circoscritti i problemi sul luogo di lavoro.
Chi, invece, ha le fondamenta della propria personalità meno solide risente maggiormente degli effetti dello stress emotivo scaturito dallo stato di mobbing non riuscendo a gestire la pervasività delle emozioni negative che invadono così la vita sentimentale, familiare e di relazione, facendo del mobbing una questione non solo lavorativa, ma anche di disagio sociale, che inficia, quindi, non solo la sua vita professionale, ma anche quella al di fuori del lavoro.
La vittima di mobbing è esposta al rischio, come abbiamo visto in apertura dell’articolo, di danneggiare il suo stato di salute, perché capita, molto più spesso di quanto si pensi, di somatizzare con malesseri fisici quello che è un disagio psicologico ed emotivo derivante dall’incapacità o dalla scarsa capacità di reagire in maniera ferma e costruttiva ai maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro.
Proprio per questo motivo il supporto del medico legale, che è chiamato a fare una precisa analisi dello stato di salute del lavoratore mobbizzato e a verificare se gli eventuali danni psicofisici sono correlati a vessazioni e ad atti di bullismo subiti sul luogo di lavoro e protratti nel tempo (almeno sei mesi) è fondamentale.
Il mobbing si combatte parlando, denunciando e rivolgendosi a professionisti competenti in grado di aiutare chi lo sta subendo.
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