L’AQUILA – di Paola Retta – In una precedente puntata di Mobbilla ho analizzato l’articolo della rivista di criminologia “lo psicopatico dietro la scrivania” ed ho citato il caso di Sara Pedri, giovane ginecologa vittima di mobbing, scomparsa da oltre un anno. Vorrei ripartire proprio da qui ed approfondire il concetto di relazione tossica o dannosa. È questo un tipo di relazione in cui non c’è equilibrio, né armonia e nella quale una delle due parti coinvolte subisce una serie di pressioni e di aggressioni ingiustificate che tendono a sminuirla, a crearle insicurezze, a farla sentire inadeguata e, in caso di litigi o discussioni, perennemente in torto. Questa situazione può verificarsi in ambito sentimentale, nelle amicizie e in campo lavorativo.
In effetti, il mobbing è certamente il risultato di una relazione tossica che ha preso il sopravvento sulla semplice relazione lavorativa. Un elemento importante da considerare per fare diagnosi di mobbing è il tempo: se una relazione lavorativa, assume connotazioni di eccessiva rigidità che non lascia spazio alla mediazione ed i comportamenti, all’interno di essa, assumono una connotazione persecutoria per oltre i sei mesi, ci troviamo di fronte ad una relazione tossica in quanto dannosa per l’equilibrio psicosociale di un gruppo di lavoro.
Abbiamo visto dalla letteratura internazionale in materia di criminologia, come dietro a ruoli di prestigio o socialmente accettati, si può nascondere una personalità pericolosa e/o sociopatica. Una caratteristica che distingue questo tipo di personalità, oltre al sadismo, è il tratto narcisistico, che le porta spesso a ricoprire un ruolo di prestigio rispetto al contesto di riferimento.
Ciò in assoluto contrasto con la naturale tendenza a identificare il deviante/bullo con un individuo appartenente a determinate subculture o classi sociali, con la variabile “scolarità non portata a termine” costante. Una delle poche cose democratiche è il disagio mentale, è infatti ovunque nella società. Lo psicopatico, o psicopatica, pericoloso per il prossimo, si può annidare nei luoghi più insospettabili. Nel caso del contesto lavorativo, lì dove vi è la possibilità per un lavoratore di assumere un comportamento mobbizzante, vuol dire che la gestione delle risorse umane è completamente assente. Invece è importantissima perché le risorse umane sono il fulcro di qualsiasi azienda che dovrebbe investire sul loro benessere, sulla loro realizzazione, sulla loro formazione e sul loro costante aggiornamento, sulla valorizzazione delle loro competenze e dei loro talenti, in vista di un comune obbiettivo produttivo, capace, certamente, di portare guadagno economico, ma anche soddisfazione personale a chi ha contribuito alla sua realizzazione.
Il piacere da parte del mobber di vedere la propria vittima in difficoltà alimenta l’intento doloso e fa sì che il mobber crei una serie di situazioni lavorative avverse che frequentemente sfociano nel licenziamento della vittima o nelle sue dimissioni. L’obiettivo delle personalità sadiche è nuocere ad un proprio simile per il semplice piacere di provocare dolore, umiliazione, imbarazzo. Gli atti di bullismo sul posto di lavoro sono spesso riconducibili a personalità con tratti narcisistici e sadici che determinano il clima in un gruppo di lavoro, manipolando le relazioni orientandole verso obiettivi personali piuttosto che di produzione aziendale. La letteratura internazionale in materia di gestione delle risorse umane va in tutt’altra direzione. Il Testo Unico 81/2008 tiene conto di questi orientamenti e indica le linee guida affinché il datore di lavoro possa prevenire e/o gestire eventuali dinamiche mobbizzanti deleterie per i lavoratori e per l’azienda.
C’è, quindi, la sfortunata possibilità di incappare in un collega che macchina tranelli con l’obiettivo di nuocere, ma la cosa che maggiormente inorridisce è sapere che qualcuno è ossessionato e trae piacere dalla sofferenza altrui e questo è quanto di più distante possa esserci da una sana e corretta gestione delle risorse umane; non si tratta di semplice conflittualità come abbiamo sempre detto, si tratta di un lavoratore che gode a danneggiare un altro lavoratore. Il primo danno a cui va incontro un lavoratore mobbizzato è l’attacco alla sua figura professionale che viene screditata, calunniata e messa costantemente in difficoltà, quindi un danno all’immagine. La vittima di mobbing va, però, incontro anche ad un danno emotivo. Partendo dal presupposto che a nessuno piace essere criticato, squalificato o calunniato, a nessuno fa piacere che il proprio posto di lavoro sia messo a rischio a causa di un intento doloso da parte di un collega fuori controllo, è molto probabile che tutto ciò generi parecchio stress psicologico, che può sfociare in stress psicosociale sul luogo di lavoro. Quest’ultimo, quando è troppo elevato e supera dei limiti di una normale sopportazione psicologica, si può trasformare in un vero e proprio danno biologico di natura psichica.
È quindi il caso, per valutarne l’entità e porre rimedio, rivolgersi ad un medico legale, figura importantissima, insieme a quella dell’avvocato e dello psicologo, per tutti coloro che subiscono mobbing.
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