L’AQUILA – di Paola Retta – Riallacciandoci alle tematiche affrontate nella puntata precedente(se sei curioso clicca qui e scarica il podcast e l’articolo), ricordo che il mobbing, nella maggior parte dei casi, è causato da colleghi, da capi o da sottoposti per svariate ragioni, ad esempio ambizione, gelosia o semplice antipatia personale, ma alla base di queste deve esserci qualcosa di irrazionale e fuori controllo da parte del mobber che va oltre una semplice emozione negativa, un substrato di psicopatologia nell’ambito dell’antisocialità. Un’altra variabile interessante che mi sembra una costante, è che il Mobbing si sviluppa completamente all’oscuro della Direzione aziendale, quando non si tratta del cosiddetto “mobbing strategico”. In questo caso, anzi, è progettato e portato avanti dai vertici aziendali per liberare delle posizioni, per costringere alle dimissioni spontanee lavoratori che rappresentano un costo eccessivo o che non rientrano più nella progettualità dell’azienda per qualsiasi motivo [1]. In tutti gli altri casi, invece, le azioni di mobbing sono anche più dannose per l’azienda, perché almeno due risorse umane, il mobber e la vittima, ma spesso anche un numero maggiore, impiegano parte della loro energia ed il loro tempo per attaccare, una, e difendersi, l’altra, sottraendo così concentrazione e spazio al lavoro, invece di produrre.
Uno dei casi più eclatanti, di cui purtroppo, ad oltre un anno dalla sua scoperta, ancora si parla, è quello del reparto di ginecologia dell’ospedale di Trento dove il primario, adesso rimosso dal suo incarico, creava nel suo team di sottoposti, un clima angosciante fatto di rimproveri violenti, umiliazioni, prese in giro, mansioni punitive, negazione di ferie e permessi, che ha portato alla scomparsa di una dottoressa, Sara Pedri, di cui ancora oggi non si hanno notizie.
Solo dopo la sua sparizione, subito collegata a motivi inerenti il lavoro, perché lei si sfogava con sms impauriti e tormentati con i suoi familiari, si è indagato in quell’ambito e quasi tutti i colleghi hanno raccontato ciò che quotidianamente subivano.
Appare evidente che in quel reparto si viveva una situazione di stress e paura che sicuramente non giovava al clima organizzativo dei dipendenti che subivano le azioni vessatorie del Primario.
In questo caso, si può parlare di una personalità psicopatica, altrimenti è difficile spiegare o giustificare un comportamento del genere. Sono proprio persone di questo tipo che vengono prese in esame nell’articolo dal titolo “Lo psicopatico dietro la scrivania”, uscito sulla Rivista Italiana di Criminologia nel 2016.
Dopo uno studio durato diversi anni, si è giunti alla conclusione che le personalità psicopatiche, o addirittura tendenti alla sociopatia possono tranquillamente arrivare a ricoprire posizioni importanti ed alte nei vertici di aziende private e pubbliche, che sono ben inseriti nella società e che hanno anche una buona socialità, che sono intelligenti, preparate e competenti. Sono anche pericolose, sia perché sanno mascherare la loro patologia, sia perché sono consapevoli del loro potere e sanno usarlo.
Di ciò che accedeva in quel reparto di ginecologia a Trento, infatti, si è saputo soltanto dopo un fatto eclatante, la scomparsa volontaria di una dottoressa. Questo perché spesso anche se una vittima di mobbing esprime il suo disagio, non viene creduta o quanto dice viene minimizzato.
Ciò può accadere anche perché lo “psicopatico dietro la scrivania” è, spesso, una persona carismatica e nota, che in pubblico si presenta bene e magari è stimata proprio per la posizione lavorativa che ha raggiunto.
Insomma, è ben lontana dall’immaginario comune che vede le persone con problemi mentali, sociopatiche o con altri disturbi psicologici come individui ai margini della società, impossibilitati a lavorare, trascurati e privi di amicizie e vita sociale [2].
La letteratura scientifica di riferimento [3] come lo studio che ha portato a questo articolo, invece, ci proiettano in una realtà ben diversa.
Va però sottolineato che, nel testo, vengono differenziati gli psicopatici di successo da quelli non di successo e che vengono considerati “di successo” anche tutti coloro che, dopo una serie di reati, sono riusciti a sottrarsi alla giustizia. Le differenze sostanziali sono che i primi sono più abili a prendere decisioni giuste, abbiano un condizionamento più efficace alla paura, siano più esperti nel mentire e nel manipolare gli altri, abbiano una capacità empatica cognitiva, pur essendo quasi assente la capacità empatica emotiva. Ciò significa che capiscono razionalmente gli altri e quindi riescono a manipolarli, ma non li comprendono in modo tale da poter condividere le loro emozioni.
Inoltre, sono assolutamente disinteressati all’eventuale danno che arrecano all’azienda causato dal loro comportamento e molto bravi, grazie anche alle azioni di mobbing messe in atto, ad attribuire la colpa agli altri che, mobbizzati, come abbiamo già visto, possono perdere fiducia nelle loro capacità e competenze lavorative.
Siamo dunque di fronte a degli individui potenzialmente pericolosi, da imparare a riconoscere per potersi difendere e conservare il proprio posto di lavoro.
Per maggiore approfondimenti su questa puntata clicca qui.
[1] Mario Meucci, “Danni da mobbing e loro risarcibilità. Danno professionale, biologico e psichico, morale, esistenziale”, 2012. Ed. Futura; 3° edizione
[2] Gullotta, “Compendio Di Psicologia Giuridico-Forense, Criminale E Investigativa”, 2020. Giuffrè Ed.
[3] Mastronardi Vincenzo, “Manuale Per Operatori Criminologici E Psicopatologi Forensi”, 2012. Giuffrè; 5° edizione.
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