L’AQUILA – di Amedeo Di Nicola – Un libro ci lascia sempre un segno, una morale, se vogliamo unintuizione. Nel secondo romanzo di Laura Benedetti, che arriva a due anni di distanza da “Un paese di carta, pubblicato sempre da Pacini Editore, di segni ce ne sono diversi, da cogliere, da portare con sé per qualche giorno, dopo che le pagine si sono chiuse sulle storie e la mente ha elaborato quello che si è letto. È un romanzo complesso, scritto con un linguaggio volutamente semplice, che vuole essere compreso, che vuole riempire il tempo di chi legge e stimolare riflessioni, ma senza eccessivi manierismi, intellettuale si lo è. Come“Un paese di carta” appare diviso in due, secondo una sequenza temporale che si snoda tra le ore dell’ordinaria esistenza, la vita immobile per dirla con la Yourcenar e quello che ti accade, a volte, in uno dei giorni sempre uguali dello scorrere borghese del tempo.
L’inizio è per i cinefili: lento come una sceneggiatura di un film di Sergio Leone, in un lungo slow-motion, che ricorda non a caso una scena di“Match Point” di Woody Allen, palesa in una completa introspezione, quasi tutto quello che di Fede, il protagonista, dobbiamo sapere. Insegnante, emigrante, italiano istruito, cittadino del mondo, orgoglioso delle nobili origini della sua cultura, costretto quotidianamente a fuggire la vergogna degli stereotipi, alimentati dalla politica nostrana.
Poi l’oggetto reale della protesta, mai celato nelle pagine del libro, si mostra chiaramente, in una critica aperta al sistema di istruzione americano, da cui tanto e acriticamente anche il bel paese sta mutuando le proprie direttive scolastiche. Quindi in una piccola Università americana, gli alunni diventano clienti, gli insegnanti commessi, la cultura, o meglio il titolo accademico, merce: «Pur di cercare di attirare in qualche modo i clienti c’era chi faceva di tutto, prometteva corsi di cucina, inviti a cena, biscottini fatti in casa a ogni lezione e naturalmente comprensione illimitata e voti generosi. Internet aveva fatto il resto, con siti appositi che permettevano agli studenti, protetti dall’anonimato, di mettere alla gogna i professori. I più popolari, invariabilmente, erano quelli che, a detta degli stessi individui che compilavano i giudizi, elargivano voti altissimi, non assegnavano compiti o letture, somministravano solo test a risposta multipla, intrattenevano affabilmente. Gli studenti, prima di iscriversi a un corso, consultavano il sito per poi dirigersi in massa verso chi prometteva il massimo del risultato, il minimo dello sforzo e magari anche bella presenza e doti culinarie».
Accade poi, come le cose che accadono per caso, che in questo ambiente così già provato nei sentimenti e nelle relazioni vi sia una morte, improvvisa e misteriosa, pronta ad alimentare un vero e proprio giallo, dove solo chi è più puro cercherà la verità, imbattendosi di volta in volta in echi di Eco, da il Nome della Rosa, presente come un filo, dal nome di uno dei protagonisti, ad un “Finis Africae” poetico, che cela la risposta alle tante domande, che indica un colpevole tra i tanti sospetti.
Accade che un soggetto impensabile entri dal romanzo in un altro romanzo, nella casa di Raskolnikov, con una leggerezza unica, trascinante, inebriante, mentre il mondo al di fuori, compreso da pochi non riesce ad afferrare tanta profondità poetica, disprezzando anzi con la superficialità dell’ignoranza, quanti riescono ancora a perdersi tra le pagine di un libro.
Accade che ogni innovazione ti par vana, in ogni principio di rivolta si veda una restaurazione della peggior specie e non si riesca a coglierne il giusto (forse perché non vi è) sperando quasi di essere sottratti al tempo. Accade in fondo che pochi poeti, insegnanti, sognatori, si ergano a difensori culturali del rinascimento, viva barricata contro l’ingresso delle lezioni di cucina tra le arti del quadrivio, prima di comprendere che forse, ai tempi nuovi che incalzano occorre rispondere con metodi nuovi, perché è impossibile sottrarsi al tempo.
Tutto questo accade nel tempo di cento ottantanove pagine, troppo poche per potersi permettere di interrompere la lettura, una volta che si è iniziato a sfogliarle.
Per me è un’altra scoperta, un altro libro da non archiviare, da tenere vicino per rileggerne qualche passo quando la mente ne richiama il ricordo, è il libro che regalerò a Natale a tutti gli amici insegnanti, con viva raccomandazione di comprarne uno per i presidi e ai presidi di incartarne uno per i direttori scolastici, sperando che almeno una copia arrivi ai vertici del MIUR e venga compresa.
Laura Benedetti insegna letteratura italiana alla Georgetown University (Washington, D.C., U.S.A.). Tra i suoi lavori figurano La sconfitta di Diana. Un percorso per la «Gerusalemme liberata», la traduzione inglese di Esortazioni alle donne e agli altri di Lucrezia Marinella e The Tigress in the Snow. Motherhood and Literature in Twentieth-Century Italy, vincitore del Premio Flaiano per l’italianistica. Nel 2015 ha pubblicato per Pacini il suo primo romanzo, Un paese di carta.