L’AQUILA – di Giorgia Manilla – Scoprire di aspettare un bambino è, per la maggior parte dei genitori, una delle più grandi emozioni della vita, se non la più grande. Essa comporta il principio di un periodo temporale privilegiato, unico e speciale; dove fantasie potenti, aspettative elevate trovano libertà di essere vissute ed espresse. Le energie mentali dei futuri genitori si concentrano su questo immenso e fondamentale progetto che cambia totalmente la vita della coppia dal momento in cui questo comincia ad essere pensato.
Il legame inizia a costruirsi sin da molto tempo prima che il bambino occupi uno spazio concreto e reale.
Ciò avviene per la futura madre, che inizia un processo di cambiamento fisico e mentale diretto, ma anche per il futuro padre che, anche se è considerato come l’ultimo involucro protettivo del bambino, comunque indirettamente vi entra in contatto.
La gravidanza dunque è un momento di cambiamento profondo della donna e della coppia, che inizia così il suo percorso verso la genitorialità in cui si sviluppano e sperimentano emozioni, pensieri e funzioni specificamente rivolte al figlio che dovrà arrivare, prima ancora che arrivi.
“ L’inizio della fine”
Secondo alcuni dati ISTAT del 2008, si sono verificati in Italia 74117 aborti spontanei, 1866 bambini nati morti e un’incidenza di morte intrauterina di 3,5 su 1000 nati vivi (ISTAT 2009).
Stiamo parlando di una evenienza tutt’altro che inusuale anche se, culturalmente e socialmente, tale evento traumatico, il lutto prenatale appunto, viene sottaciuto.
Viene definito “lutto perinatale” la morte di un figlio che si verifica tra la 28°settimana ed il primo mese di vita del bambino. Quando questa perdita si verifica precedentemente a questo periodo si definisce come “lutto prenatale”. Si possono distinguere in tal senso l’aborto spontaneo (interruzione di gravidanza prima della 22° settimana di gestazione), la morte intrauterina ( interruzione di gravidanza dopo la 22°settimana) e la morte in utero precoce ( arresto della gravidanza tra la 22° e la 28° settimana di gestazione).
L’interruzione della gravidanza, la morte del bambino prima sognato e immaginato, più tardi concretizzato e reso reale, sono eventi che si innestano su un processo in divenire, dunque sono il “cambiamento nel cambiamento”.
I genitori colpiti vivono un vero e proprio lutto, percepito come profondo e sofferto, paragonabile al lutto di una persona cara adulta. Inoltre è questo anche il lutto delle aspettative deluse, dei progetti falliti, delle immagini idealizzate di se stessi come genitori; nell’intimo delle madri e nella biografia di molti padri, questo elemento lascia un’impronta indelebile.
Tutti i membri della famiglia, nucleare ed allargata, si confrontano con questo evento traumatico. Le reazioni alla perdita possono essere variegate e differenti: le madri vivono un lutto profondo, i padri hanno reazioni più pragmatiche e orientate al futuro, concentrate sull’agire. La famiglia allargata, parenti stretti e amici, hanno spesso reazioni di fuga o di negazione rivolte al superamento dell’evento tragico o sul proteggere i genitori dal dolore piuttosto che sostenerli nella affrontarlo passo dopo passo.
Il lutto prenatale e perinatale ha caratteristiche specifiche. Nonostante la nostra mente possieda risorse protettive straordinarie, capacità innate di autoguarigione e di elaborazione del dolore, che hanno permesso all’essere umano di superare i grandi traumi della storia, sia individualmente che collettivamente, questo specifico lutto è particolarmente difficile e pesante da elaborare. Le caratteristiche peculiari che si riscontrano riguardano il livello temporale ovvero la morte coincide con l’atto di donare la vita, il che la rende del tutto innaturale e quindi incomprensibile. In secondo luogo si pone in contrasto con il corso regolare dell’esistenza che prevede che i genitori muoiano prima dei figli e si verifica in un momento, la gravidanza, in cui la donna è particolarmente fragile e vulnerabile per via dei profondi cambiamenti fisici e psichici a cui è soggetta. In ultimo, ma non meno importante, il feto bambino è un individuo che gli altri non hanno potuto conoscere, è vissuto solo nella sfera intima della mamma e questo fa sì che spesso l’ equipe medica e in generale la società, neghino l’esistenza di questo figlio. Il mancato riconoscimento del dolore da parte delle persone circostanti rinforza generalmente il senso di solitudine dei genitori rendendo ancora più difficile e dolorosa elaborazione del lutto.
Le fasi del lutto prenatale sono:
Shock: la coppia sperimenta profonda disorganizzazione, che può durare diversi giorni e limita la capacità di comprensione. Le emozioni più comuni sono stordimento, incredulità, distacco emotivo, congelamento o negazione. Molte donne sperimentano in modo acuto la cosiddetta “Sindrome delle braccia vuote”;
Realizzazione: la coppia realizza ciò che è davvero accaduto, tristezza e senso di colpa sono accompagnati da un dolore fisico intenso – somatizzazione ( dolori articolari, pressione toracica, palpitazioni);
Protesta: l’emozione principale di questa fase è la rabbia, accompagnata da sentimenti di ingiustizia, rammarico e ricerca delle colpe. La rabbia può intensificarsi per la sensazione di perdita di controllo, per il non avere avuto possibilità di scelta o per non avere capito cosa stesse accadendo. Altri sintomi che possono manifestarsi sono insonnia, incubi, flashback dei momenti più traumatici;
Disorganizzazione: fase dominata da depressione reattiva, solitudine, evitamento delle situazioni che hanno a che fare con la genitorialità. Possono emergere difficoltà nella coppia per le modalità di vivere differentemente il lutto;
Ritorno al desiderio di maternità .
La coppia, durante questo periodo, ha la necessità non detta, di aiuto da parte delle persone vicine. Queste possono mostrare il loro sostegno e vicinanza verbalmente con frasi che manifestano rispetto, partecipazione e aprono al dialogo ( mi dispiace, deve essere molto doloroso, c’è qualcosa che posso fare per te?). Una valida alternativa può essere un’adeguata comunicazione non verbale, che avviene attraverso un silenzioso “stare con”.
È fondamentale comunque non sottovalutare la portata emotiva di questo evento traumatico, assecondando le modalità che la società ci impone, ed eventualmente affrontare un percorso di coppia che possa risignificare vissuti ed aspetti emotivo-affettivi di tale esperienza.