L’AQUILA – di Giorgia Manilla – In un contesto altamente disorganizzato dal punto di vista relazionale possiamo dire che sia nata una stella incarnata in una nuova figura paterna, più attiva rispetto al recente passato, capace di vivere “l’evento nascita” a partire dalla gestazione con vitalità e preparazione.
E’ necessario fare un distinguo sostanziale, prima di analizzare le funzioni che questo ruolo riveste, tra l’essere “padre” e la “paternità”.
Il PADRE è quell’uomo che, insieme alla donna, procrea un figlio oppure è colui che, facendo richiesta insieme alla compagna, ottiene dalla legge l’affido o l’adozione di un minore. Il padre è esclusivamente biologico quando contribuisce alla procreazione senza assumersi le conseguenti responsabilità che il ruolo investe, su diversi ambiti.
La PATERNITA’, invece, è un processo intra- ed inter soggettivo che si costruisce prima sul rapporto intrapsichico del padre nei confronti del figlio, poi nella relazione interpersonale che egli instaura con la prole. La paternità inizia con la gestazione della compagna, o comunque con l’attesa del figlio. Non vivendo le modificazioni corporee legate alla gravidanza l’uomo comincia ad essere padre quando riceve la comunicazione dell’attesa del nascituro. E’ proprio questa ATTESA che consente la strutturazione della paternità.
Il momento in cui il figlio viene alla luce ( o si viene chiamati dal Tribunale dei Minori per l’affido o l’adozione) coincide con la nascita del padre.
La generazione di padri “odierni” si trova a dover fare da ponte tra due strutture storico- relazionali totalmente differenti. I padri ”moderni” hanno la responsabilità di riscattare due grandi vessazioni storiche: i maltrattamenti sui bambini, una crudeltà che si è protratta per millenni e che sostanzialmente era gestita proprio dal padre, il cosiddetto “padre padrone”, quello che menava, quello che la madre diceva: “Se non stai buono lo dico al papà” e in quel momento si creava il terrore. Ma anche i soprusi verso la donna: il patriarcato, il maschilismo, la misoginia appartengono storicamente proprio alla relazione tra gli uomini e le donne.
Questa generazione di uomini si è ritrovata a dover gestire tale eredità socio – relazionale con la necessità di compensare quello che è avvenuto nei secoli precedenti. Il peso così forte, dal punto di vista storico, caricato su una sola generazione, crea una reazione di difficoltà, di fragilità, per cui normalmente i padri si rifugiano nella morbidezza, nel dire: “Ok, non devo più essere un padre padrone, un compagno misogino, la cosa più semplice risulta diventare il più morbido possibile, un tenerone, anche un po’ amico dei figli”. Penso che le donne, nella loro femminilità profonda, non amino questa deriva. Occorre riconquistare una virilità non vessatoria, non discriminatoria verso le donne, una virilità che rappresenti valori di coraggio, di responsabilità, di ascolto, di rispetto, di lealtà, di onore e di civiltà.
E’ interessante riflettere su quanto la possibilità di “sdoganare” a livello sociale il processo di paternità comporti un forte richiamo ad una maggiore apertura alle pari opportunità, soprattutto a livello lavorativo e professionale delle donne madri e lavoratrici. Direttamente proporzionale sarebbe la crescita dell’affermazione e dell’accettazione da parte della società maschile del diritto alla paternità e dell’assunzione di responsabilità di cura, materiale e morale, verso la prole creando così un più ampio “territorio di condivisione” tra i due membri della coppia genitoriale.
E’ con la psicoanalisi freudiana che il ruolo paterno è stato riconsiderato in modo più completo e ne sono state poi mostrate le profonde funzioni rispetto allo sviluppo psichico dei figli, fin dalle epoche precoci della loro vita.
Molti termini psicoanalitici fanno ormai parte del linguaggio comune ed hanno finito per sostituire in modo approssimativo parole di uso corrente. Così come “rimuovere” è spesso usato come sinonimo di “dimenticare”, in maniera analoga, il “complesso di Edipo” è usato più che altro per indicare un eccessivo attaccamento del bambino alla figura materna, a discapito del ruolo paterno. In tal senso, rispetto alla funzione del padre, può essere utile chiarire che per la psicoanalisi il “complesso di Edipo” sottende un elemento di novità che irrompe nella scena, un passaggio dal “due” del rapporto madre-bambino al “tre” che si realizza, appunto, con l’entrata in scena della figura paterna.
Se nelle origini mitologiche di questo concetto psicoanalitico la comparsa del padre è riferita alla proibizione dell’incesto (S.Freud, 1913), secondo l’ottica inerente lo sviluppo psichico del bambino la funzione della figura paterna che rompe il sodalizio madre-bambino è più che altro rivolta ad un passaggio evolutivo che si realizza nel distogliere il bambino da un vissuto di totale e continua disponibilità della figura materna. Uno stato mentale che prende origine dall’allattamento e che, se non trovasse nel “terzo incomodo” paterno un’esperienza di limite, renderebbe un figlio poco adatto a vivere in una realtà che prevede inevitabilmente rinunce, attese e frustrazioni. Un padre che contende l’esclusivo possesso della madre e che fa tramontare la fantasia del bambino di essere un tutt’uno con la madre svolge una funzione separativa, permettendo l’instaurarsi di una realistica distanza che crea i presupposti per le future identificazioni.
Il padre, con la sua funzione separatrice della diade madre-bambino, crea una triangolazione dovuta alla sua presenza nel presente tra il soggetto (bambino) e l’oggetto (madre), facendo nascere l’altro oggetto (padre). In tal modo la sua funzione diventa anche quella di creare una triade, ovvero struttura ternaria, che può aprirsi a molteplice relazioni mostrando la varietà della terzietà, ossia dell’altro. In questo senso l’assenza paterna può essere significata e vissuta, non tanto come perdita quanto come posizione intermedia, necessaria a stimolare creatività e vitalità psichica. Tale modalità diventa anticipatoria dei processi di costituzione del preconscio e dello spazio transizionale.
Bisogna pensare questa funzione paterna non soltanto come esercitata da un padre in carne ed ossa ma anche come una funzione presente nella mente di una madre che, orientata verso un progetto evolutivo, vede nell’esperienza della separazione un passaggio importante e necessario nella vita di suo figlio, qualcosa che le consentirà di tollerare con maggiore serenità le proprie inevitabili indisponibilità alle richieste del figlio. La funzione del padre e la paternità inizia ancor prima della nascita del bambino. Già durante la gravidanza, come detto, egli è chiamato a svolgere una funzione contenitiva, condividendo con la sua compagna le ansie e le preoccupazioni che le trasformazioni corporee della gestazione possono generare, così come sarà chiamato, alla nascita del figlio, a svolgere una funzione protettiva per la delicata esperienza della coppia madre-bambino.
Quale allora il ruolo del padre? Il padre ha un ruolo di sponda. La sponda è una metafora molto semplice, consente il contenimento ma consente anche di prendere il largo.
Queste sono le due funzioni paterne, contenere sul piano normativo, quindi mettere delle regole chiare e la seconda caratterizzazione importantissima è quella del coraggio, di consentire di prendere il largo e affrontare la vita, mettersi nelle esperienze con la forza necessaria, tirando fuori tutte le proprie risorse e tutte le proprie energie.
Il padre crea quell’ostacolo maieutico che permette ai figli di fare esperienze sostanziali per crescere, maturare e divenire adulti equilibrati capaci di essere in contatto con sé stessi e con l’altro.