L’AQUILA: – Di seguito l’Omelia pronunciata dall’Arcivescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi, durante la Messa di chiusura della Perdonanza.
“Carissimi Fedeli, come sapete, le letture bibliche – che abbiamo ascoltato – non solo parlano “a noi”, ma parlano “di noi”. La Scrittura, infatti, non si limita ad informarci di eventi accaduti nel passato, ma, attraverso le vicende riferite, ci vuole mettere davanti agli occhi brani della nostra vita (interiore e relazionale), che altrimenti rimarrebbero oscuri al nostro sguardo.
Ognuno, perciò, è invitato “esplorarsi” attraverso la Parola proclamata e a riconoscersi nella storia che, oggi, ci viene narrata.
In tale contesto, i personaggi, descritti nel Vangelo di Marco, possono essere assunti come figure simboliche in cui si concretizzano alcune fisionomie spirituali e comportamentali che si muovono pure dentro di noi. Per questo, in certi loro modi di pensare e di agire, possiamo vedere rispecchiati anche vari tratti della nostra personalità, di cui spesso non siamo consapevoli.
Cerchiamo, allora, di passare rapidamente “in rassegna” i principali protagonisti di questa scena evangelica, per verificare se in noi compaiono aspetti di similarità.
Erode Antipa: è un tipo egocentrico, passionale, psicologicamente instabile, ma, al tempo stesso, ancora capace di scorgere alcuni raggi del bene, pure in forme di verità per lui scomode. Infatti stimava Giovanni, anche se questo profeta lo rimproverava apertamente, dicendogli: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello» (Mc 6,18). Erano parole di fuoco quelle che gli piovevano addosso, eppure – racconta il testo del Vangelo – anche se il discorso di Giovanni lo lasciava «molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri » (Mc 6,20). In Erode compare una cronica incoerenza etica e si manifesta l’altalenanza di comportamenti contraddittori, tipica di questi profili caratteriali: infatti – riferisce il Vangelo – “temeva” Giovanni (per questo lo aveva fatto imprigionare) ma, al tempo stesso, “vigilava su di lui, sapendolo santo e giusto” (cfr. Mc 6, 20). Come sappiamo, proprio la sua incostanza lo ha reso vulnerabile agli attacchi del male, specie quando si sono presentati in forma imprevista ed emotivamente coinvolgente.
Purtroppo, capita anche noi di essere esposti a destabilizzanti oscillazioni, cognitive ed affettive: vorremmo orientare la nostra vita verso orizzonti spiritualmente “alti”, ma poi ci lasciamo inghiottire da vortici negativi (interni ed esterni), che ci trascinano verso il basso. Lo dobbiamo confessare: pur essendo affascinati dalla Parola di Dio, non raramente restiamo impantanati nelle paludi morali che ci portiamo dentro. Così, nonostante la generosità di tante nostre aspirazioni, veniamo frequentemente sopraffatti dall’egoismo e dall’avido desiderio di gratificazioni. Per tali ragioni, abbiamo tutti bisogno di chiedere e ricevere la misericordia di Dio e degli uomini, per imparare a perdonare con intelligenza e gratuità.
Compare poi sulla scena l’ avvenente figlia di Erodiade, Salomè, che danza e piace ad Erode (cfr. Mc 6, 22). Sarà lei, spinta dalla madre, a chiedere e ottenere la testa di Giovanni il Battista. Erode, controvoglia e con tristezza, si sente costretto ad adempiere una sconsiderata promessa, fatta in stato di ebbrezza (cfr. Mc 6,26).
Salomè riassume con efficacia le “strategie narcisistiche ed edonistiche” (dominate dagli idoli dell’avere, del potere e del piacere), con cui si mettono in campo atteggiamenti seduttivi e mistificanti, per indurre al male. Anche larga parte della mentalità contemporanea è contaminata da queste logiche devianti e trascina molti a pensare e ad agire secondo modelli contrari al Vangelo, e quindi, disumanizzanti, perché feriscono la universale vocazione alla verità, al bene e alla bellezza.
Erodiade, è altro personaggio-chiave della vicenda. Essa, a differenza di Erode, non è esitante ma si mostra molto risoluta nella feroce avversione verso Giovanni Battista. Infatti, appare interamente coinvolta nel suo “no” a Dio e alla profezia che la raggiunge. In lei spadroneggia la volontà di morte, alimentata da un odio implacabile (cfr. Mc 6, 19). Nella sua azione risalta evidente il sigillo del Maligno. Senza alcuna pietà, utilizza “gli illusionismi sensuali”, messi in gioco da Salomè, per fare uccidere Giovanni. In realtà, con questo apparente successo lei ha sottoscritto la sua rovinosa condanna.
Spero proprio che niente in noi rifletta il suo volto. Ma anche se questa figura non fosse ospitata in noi (neppure negli angoli più remoti della nostra personalità), essa, però, risulta saldamente insediata intorno a noi, negli spazi di una militante “cultura di peccato”, che è priva del senso di Dio e, quindi, mancante del vero senso dell’uomo. Anche oggi la moderna “stirpe di Erodiade” è mobilitata per uccidere, in noi e fra di noi, la spinta verso la luce della Parola, la nostalgia della comunione, l’anelito della speranza. Nei confronti di Erodiade e dei suoi eredi, occorre mantenere alta la guardia e combattere la “buona battaglia” del Vangelo: accolto, vissuto e annunciato.
Avanzando nel nostro beve esame, arriviamo a Giovanni il Battista: questo sì che è un esempio da onorare e da imitare. Un uomo giusto, tutto d’un pezzo, e un profeta coraggioso, autentico discepolo del Signore. Egli, nonostante la presenza di personaggi ambigui o loschi, riscatta gli eventi che sono stati riportati, e li rende, con il suo martirio, una storia sacra, degna di essere raccontata.
Sono certo che in ciascuno di noi questa testimonianza ha messo radici: dobbiamo, perciò, far crescere e maturare il “Giovanni Battista” che è in noi. Chi segue il suo percorso non è sballottato, qua e là, da ogni vento di dottrina (cfr. Ef 4, 14-15), ma impara a mantenere fermo il timone della propria esistenza sulla rotta della volontà di Dio, anche quando questa scelta comporta navigare “controcorrente”. Allora si realizzano anche in lui le espressioni che abbiamo udito dal profeta Geremia: «io faccio di te come una città fortificata…Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». (Ger 1, 18-19).
Se fosse possibile fare un “check-up dell’anima”, sarebbe interessante verificare in quale percentuale sono in circolazione dentro di noi i virus da “incoerenza erodiana”; accertare quale tasso di vulnerabilità abbiamo nei confronti delle “ipnosi culturali” esercitate oggi in stile-Salomè; e infine monitorare in quale proporzione scorrono nel nostro cuore gli agenti virtuosi della “fedeltà giovannea”. Sicuramente le analisi accerterebbero che alcuni valori risultano alterati, anche se – lo spero – non secondo coefficienti gravemente patologici.
Tuttavia, qualunque sia la diagnosi che potrebbe essere emessa, certa è la “terapia evangelica” da adottare: sperimentare la salvezza che ci è donata, attraverso la Chiesa, dallo Spirito del Signore, il Crocifisso-Risorto.
Occorre, dunque, avviare un processo di guarigione, immergendoci nella Misericordia di Dio, che ci purifica dal peccato e ci restituisce alla vita buona secondo il Vangelo. È questo un evento che si accende in noi già da ora, se prestiamo ascolto alla esortazione dell’apostolo Paolo: «vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (1 Cor 5,20-21).
Ricordiamo che, secondo il piano comunionale del Signore, ogni dono è anche chiamata all’impegno e qualunque progresso sulla via della santità si traduce in una equivalente responsabilità a vivere la missione.
Sappiamo infatti che – secondo il dinamismo della grazia – noi siamo trasformati in ciò che abbiamo ricevuto: perciò, se – con animo convertito – passiamo attraverso la Porta Santa della Perdonanza, noi stessi diventiamo “Porte vive” della Misericordia, consentendo ad altri di entrare e incontrare, attraverso noi, l’Amore-che-risana e dona pace.
Perdonanza – ricordiamolo – fa rima stretta con accoglienza, specie delle persone più bisognose di aiuto, e con fratellanza, che, essendo universale, non ammette recinti escludenti. L’amore cristiano non lascia nessuno fuori della porta del proprio cuore.
In particolare: come aquilani, abbracciamo con immenso affetto e concreta partecipazione le popolazioni-sorelle del territorio reatino e ascolano, sconvolte dalla tragedia del sisma. Le immagini dolorose che i media lasciano scorrere davanti a noi, rievocano sentimenti laceranti nella nostra gente: pure l’ “anima aquilana” sanguina con le stesse “pulsazioni esistenziali” di questi sventurati vicini, mescolando la propria tristezza con la loro.
Il terremoto: questo “mostro” ha di nuovo affondato i suoi artigli, provocando immani devastazioni e ferite mortali, che conosciamo bene. Anche questa volta, l’orrendo predatore, oltre a lasciare distruzioni e macerie alle sue spalle, ha fatto razzia di vite innocenti: risultano 290 le vittime del suo furore.
Oggi, in nome della Perdonanza, da Aquilani, ci dichiariamo pronti a stare a fianco di queste genti amiche, per condividere la loro croce ma anche per camminare insieme sulla via della risurrezione: spirituale e sociale.
Lo “scacco matto” che il cristiano può dare al male, in tutte le sue forme, non sta solo nel neutralizzarlo, ma consiste nel ribaltarlo nel suo opposto, trasformandolo in occasione di bene. Così l’ avvilimento disfattista viene trasformato in vita gioiosa e più bella; le divisioni sono bruciate nel fuoco vivo della comunione; le fragilità e le sconfitte, immerse nella Pasqua di Gesù, diventano sorgenti di pienezza e di luce.
L’immediata ed efficiente solidarietà che è subito scattata – saldando in creativa unità istituzioni e popolazione, comunità ecclesiali e organismi civili – dimostra che, anche lì come da noi, il terremoto ha già perso la sua guerra. Chiediamo allo Spirito di Verità e di Amore che ci renda tutti protagonisti di un avvenire progettato e vissuto nel segno di una intelligente e volitiva concordia: madre feconda di una ricostruzione integrale, cristiana e umana.
In tale orizzonte, vi prego di essere generosi nella raccolta di offerte che – in sinergia con la Conferenza Episcopale Italiana – verrà fatta, domenica 18 settembre, in tutte le chiese della Diocesi: ri-amiamo con lo stesso amore con il quale siamo stati amati!
Maria, Madre dei Credenti e Rifugio dei peccatori, sia per noi Guida sicura e vigile Custode sulle vie del Giubileo.
Fra poco la Porta Santa della Basilica di Collemaggio verrà chiusa; ma le Porte della Misericordia, spalancate nei nostri cuori, dovranno rimanere aperte, sempre.
Come Arcivescovo della Chiesa Aquilana, contando sulla intercessione e sulla paterna tenerezza di Celestino V, concludendo questa solenne liturgia, vorrei dire a tutti e a ciascuno, con un grande abbraccio: la celebrazione è finita, ma la Perdonanza continua, andate in pace! Amen.”
Giuseppe Petrocchi
Arcivescovo