L’AQUILA: – di Antonella Marinelli – “…Ella ha tritato un poco di cipolla in un tegame puro./V’ha messo il burro del color di croco e zafferano/ a lungo quindi ha lasciato il suo cibréo sul fuoco…” (ode al risotto con lo zafferano di Giovanni Pascoli)
Che le vie della lana intrecciano quelle dello zafferano nella nostra Regione è cosa nota, ma forse non tutti sanno che questa preziosissima spezia è stata portata a L’Aquila dalla Spagna da un abate, Padre Domenico Santuci, che di ritorno a Navelli sua città d’origine, pensò di portare con sé i bulbi e dare l’avvio alla coltivazione nell’altopiano aquilano. Qui lo zafferano trovò un habitat molto favorevole, permettendo di sviluppare un prodotto eccellente. Si racconta che lo stesso Marco Polo portò con sé in Oriente lo zafferano di L’Aquila da utilizzare come merce di scambio.
La mitologia greca ne attribuisce la nascita all’amore, ricambiato, di un bellissimo giovane di nome Crocus per una donna di nome Smilace che, però, era la favorita del dio Ermes il quale, per vendicarsi dell’affronto, trasformò Crocus in un bulbo. Lo zafferano si coltivava in Cilicia, Barbaria e Stria (strisce di terra adagiate sul Mediterraneo nei pressi dell’odierna Turchia). Gli Striri ci coloravano i veli delle loro spose e i sacerdoti vi profumavano i templi per le grandi cerimonie religiose. Durante l’Impero Romano la produzione dello zafferano era molto fiorente, veniva utilizzato come pozione magica, come profumatore di ambienti, come colorante, come bevanda. Con la caduta dell’Impero anche la produzione di questa spezia scomparve. Attorno all’anno 1000 furono gli Arabi a reintrodurla in Europa attraverso la Spagna. Fin dal Medio Evo la pianta aveva il nome di Croco, poi gli Arabi lo cambiarono in “za’fran” in riferimento al colore giallo assunto dagli stimmi dopo la cottura.
Lo zafferano è anche conosciuto come “oro giallo” per via della complessità della raccolta e estrazione. Il bulbo fiorisce, dipendentemente dalle zone in cui viene coltivato, dalla metà del mese di ottobre per proseguire fino alla metà del mese di novembre; la raccolta viene effettuata a mano e avviene prima del sorgere del sole, per non dare modo ai boccioli di aprirsi; i fiori raccolti vengono riposti in appositi cesti di vimini quindi segue la “sfioratura” cioè la separazione degli stimmi dal resto del fiore, questa operazione deve essere fatta in giornata per non compromettere la buona qualità della spezia, infine si procede con l’essiccazione. Per ottenere 1 Kg di stimmi, necessitano duecentomila fiori: questo elemento, insieme a tutti i processi di lavorazione fanno ben capire il pregio di questa spezia.
Grazie allo zafferano e alla lana, L’Aquila divenne il crocevia di un commercio che seguiva l’asse Napoli-L’Aquila-Firenze-Venezia-Milano, per arrivare fino alla Germania. Opere come la Basilica di San Bernardino, l’Ospedale Grande (uno dei primi ospedali pubblici italiani), l’Università, l’apertura di una fiorente tipografia da parte di Adamo da Rotweill, sono nate conseguentemente al commercio di questi prodotti che nel corso dei secoli hanno caratterizzato il nostro territorio.
A volte dimentichiamo le nostre nobili origini, troppo presi dagli avvenimenti quotidiani; ogni tanto è il caso di dare uno sguardo alle nostre radici, non per tornare indietro, ma per utilizzarle come punto di partenza verso nuove storie. Da millenni lungo le strade si muovono i popoli e vengono intessuti rapporti commerciali e culturali e ora che abbiamo la fortuna di avere anche strade telematiche, sembra non vogliamo curarcene. Prendiamo esempio dai nostri antenati che, incuranti dei pericoli, ci hanno tracciato percorsi per farci raggiungere nuovi orizzonti e tracciamone di nuovi incominciando anche dalle piccole cose, l’importante è non far perdere le tracce.
Se, intanto, volete riassaporare aromi antichi ecco qui la ricetta del liquore allo zafferano. Tutto quello di cui avete bisogno sono ½ lt di alcol, scorsa di due limoni, 3 gr di fili di zafferano, 1 lt di acqua e 500 gr di zucchero. In un vaso versare l’alcol, lo zafferano e le bucce di limone. Chiuderlo e tenere al buio per una settimana mescolandolo una volta al giorno con una palettina di legno; quindi portare a ebollizione l’acqua e lo zucchero, lasciar bollire 10 minuti e far raffreddare. Versare lo sciroppo nel contenitore con l’alcol e lasciar riposare una settimana, filtrare e imbottigliare, farlo riposare ancora due mesi prima di gustarlo.