L’AQUILA – Libri, dispense e tante, tantissime, fotocopie. La vita dello studente universitario può essere dura, e a volte fotocopiare un volume per intero invece di comprarlo può aiutare a contenere il budget mensile. E a correre in soccorso degli alunni c’è sempre un negoziante compiacente che, in barba al diritto d’autore, crea copie su copie dei testi universitari. Ma attenzione, perché questa pratica non è soltanto scorretta, ma è anche un reato penale che rischia di costarvi molto caro, da una multa salata fino al carcere.
Ne sa qualcosa un negoziante napoletano che – spiega lo Studio Cataldi – per questa attività, in virtù della legge numero 633/41 sul diritto d’autore, è stato condannato alla pena detentiva in tutti i gradi di giudizio. “In particolare – afferma il sito di informazione legale – la Cassazione, pronunciatasi sul ricorso dell’uomo con sentenza numero 9209/2016 depositata il 7 marzo, ha chiarito che, come da costante orientamento della Corte stessa, la riproduzione di opere o brani mediante fotocopie è ammessa solo se contenuta entro il 15% di ogni volume, se sia corrisposto un compenso di natura forfettaria agli aventi diritto e le copie siano destinate ad uso personale”.
“Nel caso di specie, tuttavia -, continua lo Studio Cataldi – era senza dubbio da escludersi che si trattasse di fotocopie per uso personale, dato che, come accennato, il furbo negoziante aveva creato una vera e propria attività di vendita di libri fotocopiati. Il ricorrente, peraltro, contestava anche il fatto che non gli era stata concessa l’attenuante della particolare tenuità del fatto. A tal proposito la Corte ha avuto modo di precisare che il concetto di particolare tenuità implica un giudizio di carattere complessivo. La sua valutazione, quindi, non può essere limitata al solo dato quantitativo ma deve necessariamente basarsi sull’analisi anche di altri elementi, come la modalità e gli scopi della condotta, la sistematicità e la capacità a delinquere del reo”.
In poche parole, quindi, il negoziante dovrà ora scontare la sua pena, rassegnandosi e rimettendosi alla decisione definitiva della Suprema Corte.