L’AQUILA – di Vanni Biordi – La sala dell’Auditorium del Parco piena zeppa in ogni ordine di posto e gente che si accalca all’ingresso supplicando gli uomini del servizio d’ordine di poter entrare, già dalle 18,30. Mezz’ora prima, cioè, che il professor Roberto Vecchioni salisse in cattedra pe una lezione. Una lezione di vita, di passione, di cultura e tutto attraverso un amore sconfinato verso i giovani che hanno ripagato l’affetto in numero impressionante nelle presenze in platea, tra il pubblico estasiato.
Già, Roberto Vecchioni, anzi Roberto Michele Massimo Vecchioni, noto come Roberto Vecchioni, è un poeta e un sognatore, marito da 30 anni e padre di tre figli. Insegnante di filosofia e cantautore. E scrittore. Il pubblico dell’Auditorium del Parco era attentissimo, pendeva dalle labbra di questo scricciolo di uomo enorme depositario di cultura e sapere.
Vecchioni ha fatto tappa a L’Aquila, grazie all’invito rivoltogli da Roberto Maccarrone, per presentare il suo nuovo romanzo “Il mercante di Luce”, edito da Einaudi.
E viene voglia di viverlo questo libro, già leggendo le prime righe o le prime pagine. E’ la storia di un padre, stanco e deluso dalla vita, che deve trasmettere al figlio diciassettenne malato di progeria, una patologia che accelera il processo vitale e lo condanna ad una vecchiaia precoce che non lascia scampo. “E’ un ossimoro questo romanzo?”, gli chiedo. Sorride mentre siamo in disparte, lontani da i tanti che hanno voluto farsi autografare il libro. Siamo nel suo camerino, “Solo per pochi minuti”, mi dice il responsabile della sicurezza. Il professore si accende il sigaro invita ad uscire l’energumeno e cominciamo a chiacchierare. M rivolge domande, vuole sapere e invece dovrei essere io a farle e a voler sapere.
E comincia il racconto di Stefano Quondam, misconosciuto professore di letteratura greca e di suo figlio, Marco che invecchia al ritmo di otto anni in uno.
Roberto Vecchioni mi accompagna in questo viaggio dove vive un mondo con inconfondibile inerzia, tentazioni, fallimenti, stupidità, individualità meschine. Abbellito però da quel pathos esistenziale che gli antichi greci usavano per arricchire la loro arte narrativa.
Sono ormai quasi le dieci di sera e devo andarmene. Quando ho finito di fargli domande mi saluta e io gli dico di continuare a scrivere, libri o canzoni non importa, però continua a scrivere ancora, mercante di sogni, di canzoni o storie così a noi piacciono ma soprattutto insegnano.