L’AQUILA: – di Antonella Marinelli – “Tradizione non vuol dire culto delle ceneri, ma custodia del fuoco” (Gustav Mahler)
Omaggiare la tradizioni non vuol dire lasciare alle “ceneri del fuoco” il compito di portarci le immagini di un tempo che fu; è molto di più, è tenere vivo quel “fuoco” che brucia nelle strade tracciate dalle vite di chi abita la nostra terra e alimentarlo con storie evocative capaci di entrare nei nostri cuori fino a farne vibrare ogni cellula e di lì uscire rinnovate pronte per essere riutilizzate ancora e ancora, di generazione in generazione, perché le tradizioni non sono fatte per essere chiuse in un cassetto come vecchie cartoline e cacciarle fuori solamente per essere messe in mostra! Le tradizioni sono il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.
In qualunque posto vogliamo andare, qualunque obiettivo ci prefiggiamo di raggiungere, il nostro punto di partenza sono loro, le tradizioni. Se non le conosciamo, se le abbiamo dimenticate, se le ignoriamo intenzionalmente, come facciamo a tracciare nuove strade? Come possiamo credere di fare a meno di tutto il sapere che ci hanno lasciato i nostri nonni? Come possiamo ripagarli di tutti i sacrifici, il lavoro, le lotte che hanno fatto per lasciarci un mondo migliore di come lo hanno trovato loro?
Le tradizioni sono le nostre radici, il punto da cui partire per vedere il mondo in un’altra angolazione e per poterle innestare con altre radici creando altri “alberi” magari più forti e rigogliosi.
Questo è quello che cerco di fare con il mio lavoro: partendo dal filo di lana che rappresenta in maniera assoluta la nostra terra, intreccio storie che possano riempire gli spazi lasciati vuoti, ridare voce alle memorie mute e nuova vita a capacità inutilizzate da tempo.
Quando racconto i miei intrecci non disegno schemi fatti di numeri e simboli rinchiusi in una pagina quadrettata, ma descrivo i colori dei pascoli in montagna, il rumore degli alberi mossi da vento, i rintocchi delle campane portati dall’eco, la fatica dei pastori che in qualunque situazione meteorologica escono con il loro gregge. Mi piace far riemergere storie che avvolgano le persone che mi ascoltano e le scaldino come una morbida mantella.
Perché parlare di filo in un momento di confusione come quello che stiamo vivendo? Perché proprio il filo e non un’altra cosa? Perché il filo è quello che lega le nostre esistenze: ha aiutato Teseo ad uscire dal labirinto grazie al filo di Arianna; aiuta gli oratori a riprendere il filo del discorso; stabilisce la vittoria del maratoneta che taglia il traguardo spezzando un filo di lana; aiuta la cuoca a condire un delizioso piatto con un filo di olio; cadenza le giornate di Penelope che lo tesse di giorno e lo disfa di notte aspettando il ritorno dell’amato Ulisse; le Parche lo utilizzano per tessere il destino di ogni uomo, svolgerlo e reciderlo; Aracne ha osato sfidarci Atena che, per punizione, l’ha trasformata in ragno condannandola a tessere in eterno; o semplicemente “perché il filo è il caos fatto ordine”. C’è qualcosa di rassicurante nel cercare il bandolo della matassa e iniziare a lavorare, ci riappacifica con le nostre giornate e ci fa pensare.
Il filo ha un inizio? Chi può dirlo. E’ bello pensare di farlo iniziare, o continuare da un punto stabilito, o inventare un nuovo punto di partenza, o prendere quello che capita, non importa, non ci sono regole, il bello è proprio questo! L’importante è avere tra le mani un filo e iniziare a manipolarlo e vedere dove porterà i nostri pensieri; perché lavorare con i fili non è semplicemente confezionare un oggetto: è dare forma ai nostri progetti, alle nostre aspettative e ogni intreccio che facciamo, ogni motivo che creiamo, ogni colore che combiniamo, è un pensiero riordinato, è la strada che ci fa uscire dal labirinto.