L’AQUILA: – “Si aprano le porte della basilica di S.Bernardino”: con le parole di padre Carlo Serri, ministro provinciale dei Frati minori, alle 18:02 di ieri, sabato 2 maggio, è stata riaperta San Bernardino, prima chiesa del centro storico dell’Aquila a tornare in uso dopo il sisma.
Fra centinaia in raccoglimento, l’arcivescovo Petrocchi ha officiato una preghiera di benedizione e, accompagnate da un lungo applauso, sono entrate le spoglie del Santo, trasportate dagli Alpini su un mezzo dell’Associazione Nazionale affidato al Gruppo di Paganica.
“È molto bello che la basilica di San Bernardino a L’Aquila riapra oggi in coincidenza con l’apertura dell’Expo. è un segnale della vitalità del Paese”.
Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, all’evento ‘Tipici dei parchi’ organizzato all’Expo di Milano per il rilancio dell’Aquila.
Una riapertura che dimostra, secondo De Vincenti, la capacità del Paese “di riprenderci da anni di difficoltà e da vicende molto tormentate come quelle del drammatico sisma del 2009”.
Secondo De Vincenti la riapertura della basilica dimostra il lavoro che si è cominciato a fare e la speranza per la città.
DI SEGUITO L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DELL’AQUILA MONS. GIUSEPPE PETROCCHI:
“Con questa solenne celebrazione è riaperta la basilica di san Bernardino e l’urna, contenente il corpo del Santo, verrà ricollocata nel monumento funebre in cui ha riposato da secoli.
E’ un evento che riveste un profondo significato: religioso e civile. Si tratta della prima chiesa monumentale che viene restituita al culto dopo il terremoto dei 2009. Il magnifico restauro ci ridona questo capolavoro architettonico: più bello e meglio valorizzato di prima. E sono proprio questi due avverbi: “più” e “meglio” a rappresentare la sigla spirituale e culturale di tale evento. Infatti, andando “oltre” il perimetro del passato e protendendosi verso un futuro, che si vuole “ottimizzato”, la Comunità aquilana – sostenuta dalla solidarietà dell’intera nazione – sta rispondendo, con creatività e indomita tenacia, alla sfida del terremoto.
Questa splendida basilica, risorta dalle macerie, annuncia che, ancora una volta, qui a L’Aquila, la vita trionfa sulla morte: non solo perché la sconfigge, ma ancora di più, perché la rende occasione di una vita più grande. La risurrezione, infatti, è lo “scacco matto” che la vita infligge alla morte, perché non solo ne spezza il dominio, ma la rende sua serva. La morte, così orgogliosa della sua potenza distruttiva, promuove la vita: povera morte, c’è da dire!
Vi confido che, durante la processione di ingresso, mi sembrava che al suono festoso delle campane di questa basilica, facesse eco il “concerto d’anima” delle campane che risuonavano nel cuore degli aquilani e di tutti coloro che amano questa Città. E’ un evento memorabile e un giorno di giubilo, oggi!
Vorrei proporre, brevemente, alcuni itinerari meditativi, seguendo i brani biblici che sono stati proclamati. La Parola di Dio, infatti, non incrocia mai casualmente il nostro cammino nella storia. Nel tracciare queste riflessioni, farò qualche rapido riferimento a Bernardino, che adotto come “catechesi vivente” delle letture di questa liturgia. Infatti, il Vangelo spiega la vita dei santi e la vita dei santi spiega il Vangelo.
– Il Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)
Ci propone un’immagine di straordinaria efficacia espressiva.
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. .. Rimanete in me e io in voi»
«Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci».
Il rapporto che ci lega a Gesù non è solo “esteriore”, come quello che caratterizza un normale discepolato, ma è interiore e vitale. Proprio perché basata nella certezza di questa “inabitazione” (del Signore in noi e di noi nel Signore), l’esistenza di Bernardino da Siena è “tutta tesa” ad approfondire con radicalità la sua appartenenza a Gesù, e, al tempo stesso, “tutta spesa” a portare Gesù agli altri.
Infatti, promosse incessantemente il culto di Gesù, che espresse nel monogramma IHS, (“Iesus hominum salvator”), con la croce che sormonta la “H”. Questo simbolismo, che compare in innumerevoli rappresentazioni, è contornato da un cerchio di raggi fiammeggianti. E’ entrato nell’uso iconografico comune, specie sulle porte della città di L’Aquila.
– I frutti del Vangelo:
«Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 14, 5-6).
Il tralcio porta frutto perché in esso scorre la linfa della vita, ma va sottolineato pure che il tralcio porta frutti non suoi, ma quelli propri della vite. Dunque se in noi scorre la vita di Gesù, diventiamo capaci, per grazia, di compiere le sue stesse opere (cfr. Gv 14,12). Quindi possiamo pensare e amare “come” Lui (cfr. Gv 13,34), poiché è il Signore stesso che pensa e ama in noi (cfr. Gv 15,1-6).
a) Vivere la Parola,
« Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui» (1 Gv 3,24).
Accogliere e praticare il Vangelo non solo ci fa Vivere, ma ci rende portatori di Vita
San Bernardino si dimostrò un strepitoso trascinatore di animi: moltissimi, attratti dalla forza della sua testimonianza, si convertirono. Fu capofila di molti santi, che si formarono alla sua scuola: san Giovanni da Capestrano, san Giacomo della Marca, i beati Matteo da Agrigento, Michele Carcano, Bernardino da Feltre e Bernardino da l’Aquila.
Fu anche nominato Vicario generale degli Osservanti (1438-1442). Durante i brevi anni del suo governo, portò da venti a duecento i conventi dell’Osservanza. Mostrò energia e saggezza nel gestire l’autorità che gli era stata affidata.
«In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1 Gv 3,24).
Si rivelò non solo un uomo di grande cultura, ma anche un religioso dotato di abissale sapienza. Per questo fu proclamato “dottore della Chiesa”.
Desta ancora oggi meraviglia la composizione dei grandi trattati teologici, in cui illustrò le principali verità dommatiche e morali della religione cristiana. Viene riconosciuto universalmente come un maestro autorevole della vita spirituale ed ascetica. Fu uno dei più grandi assertori della “mediazione universale” di Maria.
Enunciò i fondamentali principi della dottrina sociale della Chiesa. Stupisce la modernità del suo pensiero, anche in campo economico. Condannò aspramente l’usura. Anche per questo fu per ben tre volte denunciato come eretico ai tribunali ecclesiastici. Riuscì ogni volta pienamente assolto da questa accusa.
b) La forza della testimonianza e dell’annunzio
Il testo degli Atti degli apostoli ci narrano l’infaticabile predicazione di Paolo.
«In quei giorni, Saulo…andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore». E «la Chiesa…si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero» (At 9, 26-31)
Anche san Bernardino condivide con l’apostolo Paolo la passione per la proclamazione del Vangelo. Viene considerato uno dei più efficaci oratori sacri nella storia della Chiesa. Il segreto del suo “successo pastorale” sta non solo nella sua eloquenza, ma nella sua santità. Solo chi è Chiesa fa la Chiesa.
In lui la Chiesa “in uscita” era anche Chiesa “in entrata”: infatti, andava in mezzo alla folla, sulle piazze; ma la folla, dalle piazze, veniva da lui, nelle Cattedrali.
c) La carità
che non è solo cordialità umana, ma è lo stesso amore di Dio riversato nei nostri cuori dallo Spirito (cfr. Rm 5,5). È in questa prospettiva che vanno accolte le parole dell’apostolo Giovanni: «figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità…» (1 Gv 3,24).
La carità evangelica, proprio perché di origini divine, ha caratteristiche peculiari, che nessun amore umano riesce esprimere. Tra queste, l’amore ai nemici, che consiste nel rispondere al male con il bene.
Innumerevoli furono le discordie che s. Bernardino compose: si rivelò un formidabile tessitore di pace, perché sceglieva di andare proprio là dove le inimicizie e le faide egoistiche laceravano le relazioni sociali.
Nel 1444, pur essendo molto malato, su invito del vescovo Amico Agnifili, si recò a L’Aquila, anche per tentare di riconciliare due fazioni che in città si affrontavano apertamente. Vi morì il 20 maggio. Si racconta che la bara continuò a gocciolare sangue fino a quando le due fazioni non si furono rappacificate. Il suo corpo fu esposto per tre giorni. Avvennero numerosi miracoli.
Altro frutto specifico della carità cristiana è la comunione fraterna.
«Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato» (1 Gv 3,23), afferma l’apostolo Giovanni.
La comunione cristiana è un miracolo, perché arriva a comporre le differenze nell’unità e rende armoniche le varie identità, superando le rivalità rissose e le tentazioni di omologare gli altri a se stessi.
d) L’umiltà che dona la pace
costituisce un altro frutto che matura solo nel grande albero del Vangelo vissuto.
«In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa».
L’umiltà, che scaturisce dalla Verità, si consegna alla misericordia di Dio e si affida alla Sua grazia. Non cade, perciò nella auto-deplorazione sterile ed evita di rannicchiarsi sulla propria soggettività, nell’avvilita denuncia delle proprie debolezze. L’umile non si “guarda addosso” ma tiene gli occhi fissi verso Alto. Per questo trova il coraggio di rialzarsi sempre, certo che le sue debolezze possono essere riscattate dall’Onnipotenza di Dio.
e) La preghiera efficace
«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15, 1-8)
Questa promessa di Gesù si realizza sempre, in coloro che Lo seguono con fedeltà e perseveranza. La storia di san Bernardino ne è una prova. Chiedeva ed otteneva – anche compiendo prodigi – perché era un “sì” alla volontà di Dio.
«Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito» (1 Gv 3, 18-24)
Di qui, ci arriva l’invito a bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo di essere esauditi, se ciò che cerchiamo corrisponde al nostro vero bene.
Conclusione
Le pietre non sono mute, ma parlano
per ascoltarle, però, bisogna avere orecchie adatte a percepire la loro voce. Tutto, in questa basilica, proclama una maestosa bellezza. Quanti l’hanno edificata non volevano, certo, fare sfoggio di grandiosità o di estetismo vanitoso, per soggiogare l’attenzione dei visitatori. Erano, invece, mossi da una “ispirazione autenticamente cristiana”: quella, cioè, di erigere una chiesa, che, nelle sue forme possenti e nelle decorazioni leggiadre, riflettesse la gloria di Dio. La bellezza infatti è epifania di Dio: cioè, manifestazione della Sua perfezione. Ogni creatura, perciò, è chiamata a riflettere un raggio di questo infinito splendore. È noto l’incantevole apologo, di un cercatore di Assoluto, che disse ad un mandorlo: «”Parlami di Dio”: e il mandorlo fiorì».
La bellezza scaturisce dall’incontro della verità con l’amore. È la luce che manifesta l’“essere autentico” del mondo e di ogni uomo: essa attrae l’intelligenza verso i valori che non passano e spinge la volontà verso il bene. «Non possumus amare nisi pulchra» (non possiamo amare se non ciò che è bello), ha scritto giustamente sant’Agostino.
Maria, per la quale san Bernardino nutrì una tenera e filiale devozione, è la “tutta bella, la “Donna vestita di Sole” (cfr. Ap 12,1), l’Immacolata: in Lei risplende – come in uno specchio limpidissimo – la gloria del Signore.
Questa celebrazione solenne rappresenta un segnale importante per la Chiesa e per la Città di L’Aquila. E’ un evento straordinario, che testimonia la rinascita della Città e annuncia che risorgerà, avvolta da una moltiplicata e coinvolgente bellezza.
Oggi, in questa liturgia ci sono tutti: gli aquilani che dimorano in questo territorio e quelli che risiedono altrove. Anche quelli che non sono fisicamente qui, popolano la nostra assemblea. Ma soprattutto ci sono loro, i 309 “martiri” del terremoto. Infatti in ogni eucaristia si rende presente il “Cristo totale”: cioè, il Signore Gesù e con Lui tutti coloro che Gli appartengono, formando il Suo Corpo mistico.
Proprio facendomi eco del Vangelo, che è stato proclamato, professo la convinzione che il destino di questa terra non coincide con quello di un “tralcio reciso”, condannato ad una inarrestabile decadenza, ma si iscrive nella benedizione del “tralcio potato”, che, nella misteriosa Sapienza di Dio, è chiamato a patire gravi perdite, al fine di portare frutti sovrabbondanti, destinati a rimanere per sempre.
Anche questa basilica, ammantata della sua veste più splendida, ci sta annunciando che si vedono già i “rigogliosi germogli” della Vita nuova, che pulsa nelle vene di questa Città . Sono le “gemme” di una grande Pasqua: ecclesiale e sociale, architettonica e culturale, universale e locale (L’Aquila, infatti, non appartiene solo a se stessa, ma all’Italia intera e a tutto il mondo). E ogni giorno viene rotolata più in là la grande pietra, che, dopo il sisma, sembrava chiudere nel sepolcro di immani distruzioni questa Città-crocifissa
Perciò – a nome della Chiesa che vive in te, a nome dei tuoi abitanti, a nome delle Istituzioni e di tutti coloro che ti amano – rivolgo a te gli auguri più intensi, carissima L’Aquila (“bella mè”, come dicono i versi di una canzone popolare). Auguri di una ricostruzione rapida, fattiva, trasparente e condivisa. Che questo evento propizio apra il corteo per altre giornate di memorabili inaugurazioni, accompagnate dallo stesso giubilo (in particolare penso, con trepidazione, al Duomo e alla Basilica di Collemaggio)!.
“Post nubila sol”: dopo il tempo triste del terremoto, si spalanchi sul tuo cielo la stagione solare della rinascita. La tua gente lo merita. Auguri di cuore, L’Aquila! Amen.”
Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo